PALERMO – Sono ritenuti a vario titolo responsabili dei delitti di concorso esterno in associazione mafiosa, traffico di sostanze stupefacenti, furti, ricettazione ed estorsioni consumate e tentate, tutti reati aggravati dal metodo mafioso e sfruttamento della prostituzione, i 14 odierni indagati dell’operazione Resilienza 2 che ha coinvolto la famiglia mafiosa di Borgo Vecchio di Palermo.
Le indagini hanno anche dimostrato che la famiglia mafiosa di Borgo Vecchio ha organizzato, anche in relazione alle esigenze di sostentamento economico dei sodali, un florido traffico di sostanze stupefacenti. Dal complesso delle investigazioni emergono i ruoli dei singoli associati, i dettagli organizzativi, la contabilizzazione degli investimenti e dei ricavi, nonché l’afflusso di denaro nella cassa della famiglia mafiosa.
In particolare, Angelo Monti aveva delegato al nipote Jari Massimiliano Ingarao l’intero settore delle attività illecite legate alle sostanze stupefacenti. Quest’ultimo, nonostante fosse sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, è riuscito a organizzare e coordinare tutte le attività funzionali al traffico, reperendo le sostanze stupefacenti, principalmente sul canale di fornitura con la Campania, e a rifornire le varie piazze di spaccio del quartiere, delegando, a seconda dei ruoli, i fratelli Gabriele e Danilo, Marilena Torregrossa, Carmelo Cangemi, Francesco Paolo Cinà, Saverio D’Amico, Davide Di Salvo, Giuseppe Pietro Colantonio, Salvatore La Vardera, Francesco Mezzatesta, Giuseppe D’Angelo, Nicolò Di Michele, Gaspare Giardina, Gianluca Altieri e Vincenzo Marino.
Infine, l’operazione ha permesso di evidenziare, ancora di più, la capacità di controllo capillare del territorio da parte degli affiliati al sodalizio mafioso in trattazione. Infatti, qualsiasi attività illecita non sarebbe potuta essere svolta all’interno del quartiere di Borgo Vecchio senza l’avallo di Cosa Nostra e senza aver destinato parte degli utili alla cassa della famiglia mafiosa.
Non fanno eccezione i ladri di biciclette o di motocicli i quali, oltre ad essere assoggettati alla “prevista” autorizzazione, devono anche destinare al sodalizio mafioso parte dei proventi della ricettazione o della restituzione ai legittimi proprietari con il cosiddetto metodo del “cavallo di ritorno”.
Il relativo approfondimento investigativo svelava l’esistenza di un’autonoma organizzazione criminale specializzata in tale settore, completamente asservita a Cosa Nostra.
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