Agguati, estorsioni e “attivismo” mafioso, 4 arresti: anche nuovo boss in manette – VIDEO

PALERMO – La Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo ha emesso un fermo di indiziato di delitto nei confronti di due persone, ritenute responsabili di associazione mafiosa, che i carabinieri del comando provinciale di Palermo hanno arrestato nel corso della notte.

Contemporaneamente i militari hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo, nei confronti di altre due persone, già sottoposte agli arresti domiciliari, ritenute responsabili di estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Le indagini documentano gli assetti e le dinamiche criminali della famiglia mafiosa di Belmonte Mezzagno all’indomani dell’Operazione Cupola 2.0 (4 dicembre 2018), a seguito della quale erano stati arrestati, tra gli altri, gli uomini d’onore al vertice del mandamento mafioso di Misilmeri – Belmonte Mezzagno.

Immediatamente dopo l’operazione, a Belmonte Mezzagno, erano state registrate fibrillazioni che, nel corso del 2019, sono sfociate in gravi fatti di sangue:

  • il 10 gennaio 2019, Vincenzo Greco, pregiudicato, è stato vittima di un agguato in tipico stile mafioso mentre rincasava dal lavoro nei campi;
  • l’8 maggio 2019, il commercialista Antonio Di Liberto, poco dopo essere uscito di casa a bordo della propria auto, è stato freddato da una scarica di proiettili;
  • Il 2 dicembre 2019, due sicari, a bordo di uno scooter e nascosti da caschi integrali, noncuranti della presenza di numerosissimi passanti e approfittando del traffico in una via del centro cittadino, che ha fatto rallentare l’auto condotta da Giuseppe Benigno, hanno esploso contro l’uomo ben 9 colpi d’arma da fuoco per poi darsi a precipitosa fuga, facendo perdere le loro tracce. Per un caso fortuito, solamente due proiettili hanno la spalla sinistra dell’imprenditore, il quale, nonostante le ferite, è riuscito a guidare fino al Pronto Soccorso dell’ospedale Civico di Palermo.

È evidente che l’arresto e la successiva decisione di collaborare con la giustizia di Filippo Bisconti, all’epoca capo del mandamento, avessero provocato delle forti ripercussioni.

Le attività d’indagine, che erano state focalizzate sul territorio belmontese già dopo l’omicidio di Vincenzo Greco, hanno consentito, in tempi brevi, di ricostruire parte dell’organigramma della famiglia mafiosa di Belmonte Mezzagno, individuando l’uomo che ne aveva assunto il vertice: Salvatore Francesco Tumminia, da poco tornato in libertà dopo essere stato condannato per associazione mafiosa a seguito dell’operazione Perseo (16 dicembre 2008).

Le investigazioni hanno fatto emergere come Tumminia avesse accentrato il potere nelle proprie mani gestendo il settore delle estorsioni, infiltrandosi nelle istituzioni sane della città e ponendosi quale punto di riferimento per i propri sodali e per i propri concittadini per la risoluzione delle problematiche più svariate.

Alcuni esempi del suo attivismo in tal senso sono:

  • la richiesta, formulata da un avvocato penalista al capo famiglia, di intervenire per fargli riscuotere un credito che da anni vantava nei riguardi di uno dei suoi assistiti;
  • la gestione di una controversia sorta tra alcuni sodali a seguito di una richiesta estorsiva formulata nei riguardi di un artigiano, fratello di uno degli uomini d’onore belmontesi. Le intercettazioni hanno fatto emergere le lamentele dell’artigiano che, dopo aver raccontato al fratello di aver ricevuto un “pizzino” contenente la pretesa estorsiva e le connesse minacce di morte e del coinvolgimento in tale vicenda di Stefano Casella e Antonino Tumminia (entrambi destinatari della una misura cautelare in carcere), si era rivolto al capo famiglia affinché intervenisse per evitargli il pagamento del “pizzo”;
  • il condizionamento del locale distaccamento del Corpo Forestale della Regione Siciliana da parte del capo del sodalizio mafioso belmontese, che disponeva autonomamente i turni degli operai stagionali e organizzava a piacimento le squadre di lavoro, favorendo i dipendenti a lui vicini. L’ingerenza era tale che nel paese si era diffusa la convinzione che l’unico modo per ottenere un contratto stagionale fosse quello di parlarne direttamente con Tumminia, che si faceva vanto delle minacce fatte nei confronti dei dirigenti dell’ufficio locale non collaborativi.

Fra i soggetti raggiunti dai provvedimenti restrittivi vi è anche Giuseppe Benigno, che nei giorni successivi al plateale tentativo di omicidio in suo danno, si era dato alla fuga trovando rifugio da alcuni parenti a Piubega (Mantova), dove è stato rintracciato dai militari e arrestato.

Le indagini hanno documentato come Benigno fosse un soggetto legato alla famiglia mafiosa di Belmonte Mezzagno, che operava in contatto con i vertici del mandamento e della famiglia mafiosa facente capo a Salvatore Francesco Tumminia (e, prima dell’operazione Cupola 2.0, con Filippo Bisconti), agevolando la commissione dei reati fine dell’associazione quali le estorsioni, collaborando con i sodali nel controllo del territorio, agevolando i contatti e gli incontri con gli appartenenti alle varie famiglie mafiose e inserendosi nella risoluzione delle problematiche interne al clan.