MONDO – “Se il progetto può andare avanti? Per essere franchi e onesti no, evidentemente non è così. Rimango convinto della bellezza di quel progetto, avremmo creato la competizione più bella al mondo“, così il presidente della Juventus, Andrea Agnelli, chiude (almeno momentaneamente) il sipario sulla rivoluzione Superlega. Un’utopia per ora staccarsi dalla Uefa, un affronto non ascoltare neanche le proteste feroci dei propri tifosi.
Sono questi i due fattori principali che hanno trasformato la “lega più competitiva del mondo” da incendio che ha attecchito tutta Europa a vero e proprio fuoco di paglia. Una competizione durata 48 ore, giusto il tempo di annunciarla “sottobanco” e scatenare un’ondata incontenibile di polemiche, che hanno riguardato piani alti, personaggi di spicco e tifosi (questi ultimi, forse, l’ago della bilancia per la fine del progetto).
Basti pensare che addirittura i supporters del Manchester United questa mattina hanno invaso il centro d’allenamento della squadra, impedendo ai giocatori di entrare per la seduta ed esibendo striscioni del tipo: “Decidiamo noi quando giocate“, “Glazer out” (Joel Glazer sarebbe stato il vicepresidente della Superlega ed è co-proprietario del club), “51 per cento MUFC” (riferito al pacchetto azionario di maggioranza del club che dovrebbe andare ai tifosi).
Tifosi a parte, troppe erano diventate le pressioni esterne, eccessivo il polverone alzato dalla vicenda, e molto probabilmente totalmente sbagliata la strategia di comunicazione. Nessun preavviso, un annuncio d’assalto, impossibile non generare polemiche. “Il calcio è del popolo“, hanno tuonato tifosi e organi governativi calcistici e non, eppure Uefa e Fifa in materia di denaro sono tutto fuorché “vicini al popolo”.
Si può anche azzardare a dire (e forse non è proprio un azzardo) che si siano serviti dell’opinione popolare per difendere i propri interessi, utilizzando la morale spiccia per portare dalla loro parte gli appassionati (che alla fine dei conti sono quelli grazie ai quali il gioco è il più seguito, amato e “ricco” al mondo). Ma è davvero finita qui?
Superlega, Florentino Perez: “Solo in stand-by”
Difendere i propri interessi fa parte del gioco e ambo le parti hanno agito per interesse. Nel giro di 48 ore dai 12 club Fondatori iniziali, ne sono usciti i 6 di Premier League – quelli che hanno fatto più rumore -, il Barcellona, l’Atletico Madrid e l’Inter. Rimangono dentro Real Madrid, Juventus e Milan. Per Florentino Perez – presidente del Real e della Superlega – la situazione è solo in stand-by.
“La cosa fondamentale è che le partite abbiano interesse per i giovani. Meritocrazia? I partecipanti fissi se lo sono guadagnato in campo. Sono quelli con più tifosi sui social. Ci sono partite che nessuno guarda“, ha detto ai microfoni della trasmissione spagnola ‘El Larguero‘ su Radio Cadena Ser. “Non vogliamo uccidere i campionati nazionali, la nostra non è certo una competizione chiusa. Può entrare chiunque. I giovani non guardano più il calcio, vogliono vedere un Nadal-Federer tutte le settimane. Il calcio di oggi è asfissiato dalla crisi economica, non arriveremo al 2024 se non troviamo più soldi. Il formato Champions è obsoleto e genera interesse solo dai quarti di finale. La scorsa stagione sono stati persi 650 milioni e questo perché il formato non funziona“, ha proseguito.
Superlega, tutt’altro che finita: le questioni legali
Il progetto Superlega può essere considerato finito per quanto riguarda il numero di squadre al momento partecipanti, ma non dal punto di vista legale. Infatti, i 12 club Fondatori avrebbero firmato degli accordi con al loro interno delle clausole legate alle conseguenze delle scelte. Secondo quanto riportato dal Financial Times, ci sarebbero state delle vere e proprie clausole d’uscita per i club aderenti.
Una, per esempio, avrebbe costretto le squadre a non abbandonare prima del giugno 2025 e dall’anno successivo in poi ci sarebbe dovuto essere un preavviso di una stagione. I club, inoltre, sarebbero stati obbligati a rimborsare parte della sovvenzione iniziale. È anche vero però che nessun team ha incassato nulla essendo uscito prima del tempo. L’unica pista rimasta a chi non si è ancora fatto da parte sarebbe quella di fare causa. Ed è forse per questi motivi legali, che la questione Superlega è tutt’altro che finita.
Gli echi di quanto accaduto nel mondo del calcio nelle ultime 48 ore andranno sicuramente ancora avanti. Si annunciano battaglie legali tra Uefa e i club che hanno deciso di partecipare, tra chi non si è tirato indietro nel progetto e chi, invece, ha nascosto la mano. Il futuro del calcio, almeno di questa stagione già segnata dalla pandemia, è appeso a un filo. Ci saranno sanzioni, penalità o clamorose esclusioni? O tutto rimarrà così com’è, trasportando piano piano questo evento nell’oblio del tempo che passa inesorabile? E ancora, il calcio ha seriamente bisogno di una rivoluzione?
Il presidente del Bayern Monaco, Karl Heinz Rummenigge (che ha rifiutato sin dall’inizio ad aderire alla Lega dei “dissidenti”), ha offerto uno spunto per un possibile cambiamento: “I problemi del calcio non si risolvono aumentando i ricavi, ma diminuendo i costi“. Un bel messaggio, ma che si perde nell’ipocrisia di un mondo che in ogni settore pensa al guadagno (i soldi sono super partes nella storia). Insomma, più facile a dirsi che a farsi. Tra approfittatori e chi ci mette la faccia, tra tanti ipocriti e pochi sentimenti veri e onesti. Il terremoto Superlega, forse, ha semplicemente scoperchiato il vaso di Pandora e smascherato la grave crisi economica e morale che sta colpendo il calcio.
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