Joker e la sua follia, la malattia mentale sotto gli occhi indifferenti della società

Joker e la sua follia, la malattia mentale sotto gli occhi indifferenti della società

Da un lato una patologia mentale, dall’altro una società indifferente ai bisogni del “diverso”, cieca di fronte a un disagio che si preferisce ignorare, sorda dinnanzi alle urla disperate di chi – a furia di rivolgersi a chi non ha orecchie per lui – è ormai a corto di fiato, ma continua comunque a lottare per farsi vedere, per dimostrare, prima di tutto proprio a se stesso, che esiste. Che la sua vita è reale, al pari dei pensieri negativi che ogni giorno si affollano nella sua mente, creando una barriera tra se stesso e il mondo.

Un connubio “esplosivo”

Un malato mentale e una società che sceglie di tacere rappresentano un connubio estremamente pericoloso, capace di generare conseguenze impensabili, portate all’estremo proprio in uno dei film più acclamati degli ultimi anni, Joker, tornato sul grande schermo dallo scorso 2 ottobre con Joker: Folie à Deux, il sequel di una storia diventata fortemente emblematica.

Lo sottolinea lo stesso Joaquin Phoenix, nelle vesti di Joker, in una delle scene più toccanti della pellicola. Stanco di essere invisibile agli occhi dei più, il protagonista, ospite della trasmissione televisiva di un celebre conduttore interpretato da Robert De Niro, dà libero sfogo al suo disagio: “Cosa ottieni se metti insieme un malato di mente solitariocon una società che lo abbandona e poi lo tratta come immondizia?“. Un tema non inedito nel mondo del cinema: basta pensare all’intramontabile Taxi Driver che, interpretato da un giovane De Niro, rappresenta una sorta di precursore di Joker.

È questo l’apice del percorso di ribellione di Joker, esausto di mandare giù bocconi amari e di subire in silenzio lo sguardo giudicante di chi si sente migliore di lui, di chi – occupando una posizione di maggior prestigio – dovrebbe tutelarlo e garantirgli pari opportunità. Insomma, tendergli una mano piuttosto che accompagnarlo nel suo lento declino.

La fragilità dietro la follia

Dietro la follia del protagonista, all’anagrafe Arthur Fleck, si cela proprio una forte fragilità, portata all’estremo dagli occhi indifferenti di una società che ha scelto di non vedere, voltandosi dall’altro lato. Lì dove ci si può ancora illudere che ogni cosa sia al suo posto, che non ci sia nulla da cambiare, che perfino la risata spaventosamente disperata di Joker sia sinonimo di allegria e divertimento.

La risata come espressione di disagio

Una risata quasi assordante quella attraverso cui Joker esprime il suo disagio, ma con molta probabilità nemmeno lontanamente paragonabile al rumore inarrestabile dei pensieri con cui ogni giorno fa i conti. In fondo, lo precisa più volte nel film, la sua non è che una reazione involontaria, che emerge spesso e volentieri anche nei momenti di maggiore stress e tensione. È così che il gesto con cui per eccellenza si esprime l’allegria diventa, paradossalmente, espressione di angoscia e disperazione.

Prendere per mano i propri “demoni”

Se la risata sprigiona sicuramente una parte del caos interiore del protagonista, non è poi così diversa la funzione del “balletto” a cui in diverse occasioni Joker si abbandona. Passi di danza semplici, a tratti bizzarri, si susseguono in alcune delle più iconiche scene del film.

Potrebbe trattarsi proprio dell’atteggiamento tipico di chi, di tanto in tanto, decide di deporre le armi e smettere di lottare – almeno per qualche minuto – contro i suoi mostri, prendendoli per mano e iniziando a danzare con loro. L’unico modo per un uomo devastato mentalmente per abbassare il volume dei brutti pensieri e concedersi una tregua dai tormenti quotidiani.

Parlare di salute mentale

A rendere Joker un capolavoro del cinema è sicuramente, tra i tanti meriti riconosciutigli, proprio il modo in cui il regista Todd Phillips ha scelto di parlare di salute mentale. Tema che negli anni ha iniziato ad acquisire sempre più importanza, così come ricorda la Giornata mondiale della salute mentale che si celebra proprio oggi, giovedì 10 ottobre.

Il World Health Mental Day, celebrato per la prima volta nel 1992, ha l’obiettivo di combattere stigma e pregiudizi, aumentando la consapevolezza sui disagi psichici nel mondo.

Un’iniziativa volta a sensibilizzare su un argomento che per decenni ha rappresentato un tabù e che da qualche tempo finalmente comincia a vedere la luce. Un passo avanti fondamentale per evitare che qualcuno arrivi a ripetere a se stesso parole paragonabili a quelle che quotidianamente affollano la mente di Joker: “Spero che la mia morte abbia più senso della mia vita“, si legge all’inizio del film in una delle pagine del diario a cui il protagonista affida i suoi sentimenti più oscuri.

Tratta da una scena di Joker

La vita di Joker, una tragedia o una commedia?

Ho sempre pensato che la mia vita fosse una tragedia, ma ora mi rendo conto che è una commedia.” Una consapevolezza che arriva solo alla fine del film, quando Joker si rende definitivamente conto dell’incapacità da parte degli altri di comprendere il suo disagio e quindi dell’impossibilità di squarciare quel velo di indifferenza con cui da sempre la società prende le distanze da chi, come lui, vive in bilico tra follia e vulnerabilità.

Se la sua vita dunque ha sempre preso le sembianze di una tragedia è solo perché probabilmente l’iconico clown non ha mai trovato un pubblico in grado di ridere con lui, piuttosto che di lui. Capace di lasciarsi andare a momenti di sana ilarità o, meglio, di comprendere attraverso le sue battute – spesso tanto macabre quanto bizzarre – il bisogno di esistere che da sempre gli è stato negato. E che alla fine decide di andarsi a prendere, con le unghie e con i denti, anche a costo di lasciare a terra una scia infinita di sangue, ai suoi occhi comunque un segno tangibile della sua esistenza.

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