Beppe Alfano, morto in cerca di verità: storia di un Giornalista

Beppe Alfano, morto in cerca di verità: storia di un Giornalista

BARCELLONA POZZO DI GOTTO – La sete di verità che diventa una corsa contro il tempo quando si sa di avere una condanna a morte che pende sul proprio nome. Raccontare e informare, sempre. Essere un giornalista, vero, anche senza tesserino. Perché a cosa servono i titoli se non si ha coraggio?

Beppe Alfano era un cronista puro, di quelli che consumano la suola delle scarpe, arrivano sempre primi là dove si verifica una notizia e non tacciono verità scomode. Anzi le ricercano a ogni costo, fino a perdere il sonno la notte, fino a perdere la vita.

Insegnante, militante politico e giornalista

Ufficialmente, se così si può dire, era un docente. Insegnava educazione tecnica in una scuola media di Terme Vigliatore, a pochi chilometri da Barcellona Pozzo di Gotto, città in cui era nato il 4 novembre 1945.

Militante politico di estrema destra, aveva aderito alla Giovine Italia, a Ordine Nuovo e al Movimento Sociale Italiano.

Aveva iniziato la sua attività giornalistica alla fine degli anni ’70 collaborando con alcune radio provinciali e con l’emittente locale Radio Tele Mediterranea. Nel decennio successivo era passato alle televisioni locali, Canale 10 e Tele News. Nell’estate del 1991 aveva iniziato a collaborare anche con il quotidiano La Sicilia, per il quale si occupava di politica, cronaca e sport. Tutto questo senza mai iscriversi, per motivi ideologici, all’albo dei giornalisti. Era contrario, infatti, all’esistenza stessa dell’ordine professionale.

Senza paura denunciava apertamente abusi, inadempienze, intrecci tra politica e massoneria deviate, guerre fra cosche, affari per i maxi appalti dei lavori pubblici e sprechi della pubblica amministrazione. Era “una penna dissidente”, amante della verità. Non si poteva né comprare, intimidire. Solo eliminare.

L’omicidio di Beppe Alfano

La sera dell’8 gennaio 1993 Beppe Alfano stava rientrando a casa con la moglie Mimma Barbaro, infermiera in servizio all’ospedale di Patti. Prima di varcare il portone aveva visto in strada qualcosa di strano e aveva intimato alla moglie di entrare e chiudersi dentro. Lui, invece, aveva fatto ritorno alla propria auto, una Renault 9 rossa. È stato raggiunto da tre colpi di pistola calibro 22 poco distante dalla sua abitazione, mentre era fermo alla guida in via Marconi. Un proiettile in bocca, uno alla tempia, uno al torace.

La moglie, intanto, aveva comunicato lo strano comportamento del giornalista ai tre figli. Preoccupata la figlia Sonia aveva chiamato il padre al cellulare, senza ottenere risposta. Aveva tentato allora di mettersi in contatto con la redazione de La Sicilia, nella speranza che potessero aiutarla. Al telefono le aveva detto che anche loro stanno cercando di rintracciarlo: avevano saputo di un omicidio a Barcellona e avrebbero voluto che coprisse la notizia. Ma in quel momento una voce fuori campo aveva annunciato l’irreparabile: la vittima era proprio Alfano. È stato così che la figlia e la famiglia hanno saputo della sua morte.

Barcellona Pozzo di Gotto, le faide e gli affari di Cosa nostra

Per cercare di comprendere le ragioni dell’omicidio di Beppe Alfano, la cui vicenda processuale è ancora oggi aperta, occorre analizzare la sua attività giornalistica e lo scenario entro il quale si muoveva. Vale a dire Barcellona Pozzo di Gotto e gli affari illeciti che là prendevano le mosse.

Sin dagli anni ’70 Barcellona era stata crocevia del contrabbando di sigarette e di droga, gestiti direttamente dalle cosche palermitane. A metà degli anni ’80, poi, le casse del Comune si erano riempite di denaro per finanziare la costruzione del raddoppiamento della linea ferroviaria con Terme Vigliatore e l’autostrada Messina-Palermo. Soldi che facevano gola al malaffare.

Era stato il ritorno del boss Pino Chiofalo a stravolgere gli equilibri e a dare vita a una vera e propria mattanza. Nel 1986 Chiofalo era tornato a Terme Vigliatore dopo aver scontato diversi anni di carcere. Si era messo a capo di una cosca scissa dalle regole di Cosa nostra e aveva dichiarato guerra al clan barcellonese. Un bagno di sangue.

Solo l’arresto del boss, nel blitz del 29 dicembre 1987 a Pellaro (Reggio Calabria), aveva frenato la faida. Dopo, infatti, la maggior parte degli appartenenti alla sua cosca erano entrati a far parte della compagine barcellonese, che intratteneva stretti rapporti con la mafia catanese.

Personaggio di rilievo era diventato allora Giuseppe Gullotti, detto “l’avvocatino”, fidanzato della figlia del boss di Barcellona Ciccio Rugolo. Coordinatore dell’ala militare barcellonese per conto di Nitto Santapaola, padrino di Cosa nostra etnea, rappresentava anche il punto di contatto con poteri istituzionali, rappresentanti del potere giudiziario e delle forze dell’ordine.

Il 27 luglio 1991 il figlio del boss Chiofalo, Lorenzo, era morto ammazzato a Barcellona. Era stato in quel momento che Beppe Alfano aveva cominciato a scrivere per La Sicilia.

L’attività giornalistica di Beppe Alfano

La sua attività si era concentrata in particolare sulla vicenda dell’erogazione dei contributi AIMA (Azienda per gli Investimenti sul Mercato Agricolo), le truffe a essa correlate e i rapporti tra Cosa nostra e diversi personaggi barcellonesi. Aveva trattato spesso anche la questione del raddoppio ferroviario. E aveva indagato sui rapporti che si erano instaurati tra i soggetti che gestivano l’erogazione dei contributi AIMA, il raddoppio ferroviario e l’AIAS (un’associazione che si occupava di assistenza agli spastici che a Milazzo aveva la sua sede più proficua).

Grazie alla rete di informatori che aveva saputo costruire e alla conoscenza maturata sul campo, Beppe Alfano era anche riuscito a disegnare l’organigramma delle cosche di Barcellona. Materiale di cui, insieme ai suoi articoli e servizi, si servirono successivamente anche le forze dell’ordine.

Con le sue inchieste aveva delineato inoltre il sospetto dell’esistenza di logge massoniche composte da rappresentanti del potere ufficiale e rappresentanti della mafia. Poco prima di morire, alla fine del’92, aveva anche sospettato che il boss Santapaola si stesse nascondendo proprio a Barcellona Pozzo di Gotto. Intuizione rivelatasi autentica.

Indagini e depistaggi

Mi uccideranno prima della festa di San Sebastiano”, ripeteva negli ultimi giorni della sua vita Beppe Alfano. Stava indagando sul commercio degli agrumi a Barcellona e aveva scoperto che era là che si nascondevano gli interessi di Nitto Santapaola. Affari lucrosi che il boss non voleva che venissero intralciati. Come dichiarato dal pentito Maurizio Avola. Secondo l’ex sicario di Cosa nostra, che ha confessato oltre 50 omicidi, il movente dell’assassinio di Alfano sarebbe da ricollegare proprio a quella “intromissione” negli affari del boss di Catania. Una rivelazione che ha spazzato via una volta per tutte i depistaggi tentati all’indomani della barbara uccisione. Si era cercato, infatti, di ricondurre l’episodio a un delitto passionale. Proprio come era accaduto per l’omicidio del giornalista Giuseppe Fava, di cui peraltro Maurizio Avola ha ammesso di essere il killer.

Le sentenze e le domande senza risposta

L’iter giudiziario, intanto, ha emesso alcuni verdetti. Con sentenza definitiva a 30 anni di carcere, è stato stabilito che Giuseppe Gullotti è stato il mandante dell’assassinio di Beppe Alfano. Ma il suo processo è in fase di revisione. Un killer della cosca di Gullotti, Nino Merlino, è stato condannato a 21 anni di reclusione, anch’egli con sentenza definitiva, in quanto esecutore materiale.

Le indagini, però, proseguono. Sono ancora troppe le domande che attendono risposta e i dubbi da dissipare. Come quello relativo alla perizia balistica mai effettuata sull’arma del delitto. O quelli collegati alla sparizione e successiva ricomparsa di alcuni file del computer di Alfano riguardanti i contatti tra massoneria e mafia. Mancano ancora tasselli importanti alla ricostruzione dell’omicidio, che potrebbero svelare la presenza di possibili mandanti esterni. E riscrivere la storia di un assassinio che potrebbe non essere solo mafioso.

Beppe Alfano, un giornalista scomodo

L’unica certezza oggi è che Beppe Alfano era un giornalista con il nobile e scomodovizio” di fare domande, che andava in cerca di risposte chiare. Anche senza una tessera da sventolare. L’iscrizione all’albo gli è stata concessa alla memoria dall’Ordine regionale.

Fonte foto: Facebook – Pietro Grasso