“La tristezza ha il sonno leggero” di Lorenzo Marone

“La tristezza ha il sonno leggero” di Lorenzo Marone

Nella misura del perimetro di una casa, quasi mai manca un angolo rassegnato a vivere all’ombra a causa di un malessere nemico della quiete.

Il nuovo millennio sta esasperando la normalità inesplosa. Adesso, però, l’eccesso si è impossessato di una chiave universale abilitata a svelare gli scheletri nell’armadio.

Con il romanzo “La tristezza ha il sonno leggero”, Lorenzo Marone torna in libreria con la narrativa interessata alle stanze occulte dell’animo umano.

Lui si chiama Erri Gargiulo, ed è un 40enne con molti ieri invecchiati nella consuetudine di un nucleo familiare assuefatto alla legge che autorizza, concede la fusione di sentimenti nuovi al battito ordinario. Erri si esprime con una voce prestata dai giorni drogati di abitudini. A volte la vita di una famiglia allargata sottrae anziché moltiplicare. Confonde la dose del dare con la sacrosanta sete d’amore.

Due padri e due madri, un padre biologico e uno acquisito, una madre brava a nascondere le sue debolezze, e poi fratelli e sorelle, tanti rami dello stesso albero dalle radici immerse nella nebbia.

Un coro parentale riunito nel salotto buono dove l’espressione “in famiglia” assume un significato bizzarro rispetto all’autentico focolare domestico.

Personaggio indistinto in quella brutta copia di famiglia, Erri è solo uno dei tanti che rivive il passato davanti allo specchio assente di riflessi che un tempo, tanto tempo fa, lo hanno reso un uomo fiero di sé.

Il “qui e ora” lo trattiene nelle grazie di Matilde, la moglie, la donna sulla quale ha riversato il fuoco dell’amore incondizionato. Un amore sterile però, chiuso nella prigione dorata occupata da un uomo, una donna e nessun figlio. Cinque anni sono bastati a debellare ogni possibilità di recupero alla coppia orfana di un figlio che non è mai arrivato. Matilde lascia Erri. Matilde si rifugia tra le braccia di un collega.

Le storie dei singoli personaggi intrecciati nel minestrone formato famiglia, sono tante e rappresentano il linguaggio universale di un’unica voce, il movimento sincronizzato di labbra compatte nella recita di una sola, identica versione.

Ho paura di ricominciare a vivere“. La confessione liberatoria di Erri al suo psicoanalista lo accompagna nei luoghi dove si è scontrato con le prime lacerazioni dell’anima. La separazione dei genitori, l’affetto distratto del patrigno, e poi Flor, Arianna, Rosalinda, Giovanni, Valerio, Sol, tutti nomi registrati nel disagio mentale con una password da dimenticare.

La ferita psichica diventa malessere fisico coinvolto suo malgrado nella rete impervia sotto il finto bene, nient’altro che una flotta di consanguinei bugiardi.

Il passato sotto accusa chiede il perdono, se mai lo avrà, sarà necessario dominare le notti di luna ossessionata dalla paura di perdere
il giaciglio su cui riposare le tensioni.

Da 40enne abituato a subire il dramma, anche per Erri Gargiulo arriva il momento di leggere le radici che lo hanno allontanato da ogni forma di ribellione al coraggio latitante da troppi anni. “Ricominciare”, gli suggerisce una voce velata nell’attesa del cambiamento.

Erri rinuncia alla scelta, lasciando che i desideri ammuffiti si moltiplichino nella metà del suo letto. Erri, uomo invaghito di uno schizzo, forse mai innamorato dei colori che avrebbero trasformato uno zampillo di matita in un acquerello fiorito.

A nulla è valso vegetare un passo indietro al raggio di sole pur di non correre il rischio di vivere. Molte patologie resistenti alle cure del pensiero sono causa del futuro diverso da quello sperato. Da qui, la visione statica del bene seminato e mai raccolto. Erri Gargiulo dovrà imparare a liberarsi dalle regole imposte a un capro espiatorio innocente. Chi meglio di lui può vestire i panni di vittima sacrificale affidata al giudizio di una voce mediocre?

Il suggerimento di spostare l’attenzione oltre le macchie tatuate nel pensiero obeso, viene spesso erroneamente considerato un’abilità dei sensi recettivi della ragione: nient’altro che pillole di placebo contro il malessere esistenziale. Da solo, il personaggio Erri corrisponde a un “plurale noi” timoroso di salire sulla barca con destinazione un nuovo orizzonte.

Da più parti sento spesso dire che non bisogna avere rimpianti, che chi vive ancorato al passato non ha speranza nel futuro. In realtà credo che chi non ha rimpianti non ha mai avuto sogni. Ed è la mancanza di sogni a precludere un bel futuro. Io mi porto dietro la mia zavorra di rimpianti, le tante speranze accumulate e mai avverate… La verità è che tra la speranza e il rimpianto passa un soffio. E in quel soffio trascorriamo gran parte della nostra vita“.

Come consuetudine della sua espressione narrativa, ancora una volta Lorenzo Marone indugia nel mare emotivo per opera della raffinata sensibilità intrisa nella sua scrittura. Ancora una volta restano sue le cronache in bianco e nero degli album di famiglia riservate al privilegio del ricordo.

sara

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