È il confine sempre più labile tra realtà e finzione a porre le fondamenta del dilagante fenomeno dei “deep nude“. Immaginate di venire a sapere che sui canali più “oscuri” del web girano delle immagini che vi ritraggono nudi. Scatti talmente realistici da poter ingannare perfino voi stessi, se non fosse per la consapevolezza che – come accade in molti casi – quelle foto voi non le avete mai scattate. E allora è lì che cade la maschera, ripristinando il velo di realtà che l’intelligenza artificiale e le sue infinite potenzialità hanno imparato a celare fin troppo bene.
Deep Nude, il danno emotivo di foto mai scattate
Se il revenge porn – di cui ormai da tempo è nota e combattuta la natura illegale – si basa su contenuti intimi “reali“, ciò che invece rende i deep nude un fenomeno ancora più paradossale è la “costruzione” di immagini mai esistite. E se pensate che l’infondatezza che sta alla base di questo tipo di contenuti possa alleviare l’impatto che la loro diffusione ha sulle vittime, vi sbagliate di grosso. Le conseguenze emotive sono nella maggior parte dei casi altrettanto devastanti e pericolose: a parlarne, ai microfoni di NewSicilia, è stata la dottoressa Valentina La Rosa, psicologa, psicoterapeuta, assegnista di ricerca e docente a contratto di Psicologia dello Sviluppo dell’Università di Catania.
-
Da una parte il senso di vergogna, dall’altro un’irrefrenabile rabbia. Qual è l’effetto che questo “mix esplosivo” può avere sulle vittime?
“Il cosiddetto Fake Nude – spiega la dottoressa – rappresenta una forma di violenza psicologica profonda perché agisce su due dimensioni fondamentali dell’identità: il corpo e la reputazione. Vergogna e rabbia convivono in un conflitto interno difficile da gestire in cui da un lato, la persona si sente esposta, vulnerabile, quasi ‘spogliata’ del proprio controllo, mentre dall’altro, prova una forte spinta alla rivalsa, spesso accompagnata da impotenza. Questo mix di emozioni e stati interni può generare ansia, insonnia, difficoltà di concentrazione, ma anche sintomi depressivi o dissociativi. Il rischio maggiore è soprattutto la perdita del senso di fiducia negli altri, ma anche e soprattutto in sé stessi e nella possibilità di essere creduti o tutelati“.
-
Come reagire alle conseguenze che questo danno d’immagine può provocare a livello personale, ma anche professionale?
“È importante intervenire su più livelli. Dal punto di vista psicologico, la priorità è ricostruire un senso di sicurezza: chiedere supporto, non isolarsi, denunciare, e soprattutto evitare l’auto-colpevolizzazione che è una trappola frequente nelle vittime di reati digitali. Dal punto di vista professionale, serve una rete di sostegno concreta attraverso colleghi, amici, istituzioni che sappiano reagire in modo informato e non giudicante. Riparare un danno d’immagine – fa presente Valentina La Rosa – non significa ‘tornare come prima’ ma imparare a ridefinire la propria narrazione pubblica: riappropriarsi della propria voce e del proprio corpo, anche simbolicamente“.
Il meccanismo alla base dei deep nude
I deep nude rientrano nella più ampia categoria dei deep fake, neologismo nato dall’unione dei termini “fake” e “deep learning”, una particolare tecnologia AI.
Il processo che sta alla base della realizzazione di contenuti di nudità falsi parte da foto di donne vestite, poi modificate per rendere visibili le zone sottostanti agli indumenti. È bene precisare però che in questo caso non si prevede un classico lavoro di “copia e incolla” in stile photoshop, bensì una vera e propria “ricostruzione” – pixel dopo pixel – delle parti intime. Lavoro reso chiaramente più facile e veloce dall’utilizzo di foto in costume piuttosto che da scatti che vedono la persona interamente vestita.
Tuttavia, non sarà di certo nemmeno questo a fermare coloro che, con l’uso degli strumenti adeguati, si rendono artefici di contenuti falsi, realizzati e diffusi ignorando il colpo inflitto a chi ha la sfortuna di ritrovarsene protagonista.
Rimangono difficili da comprendere le motivazioni che stanno alla base del gesto, ma la psicologa La Rosa ha comunque tracciato un quadro chiaro dei meccanismi che scattano nella mente del “genio informatico perverso”.
-
Cosa induce gli autori di queste violazioni a mettere in atto comportanti che rendono la vittima “oggetto” e non “persona”?
“Alla base c’è un meccanismo di disumanizzazione. L’altro viene percepito non come individuo reale, ma come contenuto, come oggetto di consumo o di potere. La tecnologia, in questo senso, amplifica l’illusione di poter controllare l’immagine dell’altro. Spesso questi comportamenti sono motivati da dinamiche di dominio, da pulsioni narcisistiche o dal bisogno di appartenenza a gruppi online che legittimano la violenza come forma di affermazione. In realtà – aggiunge la dott.ssa – dietro questi atti c’è quasi sempre una profonda fragilità identitaria e un deficit di empatia”.
Il ruolo passivo degli “spettatori”
Se da un lato si rivela necessario approfondire le ragioni degli autori, nonché diffusori, di deep nude, risulta non meno importante soffermarsi sulle ragioni per cui tali immagini trovino spesso e volentieri un consistente numero di utenti. Persone che, nel ruolo di spettatori, danno per così dire un “senso” al lavoro svolto da chi si occupa di “spogliare” sia celebrità sia persone comuni, spesso immortalate nei momenti quotidiani che hanno scelto di condividere sui social.
-
Qual è il meccanismo “principe” nella mente dei cosiddetti “spettatori”, membri dei canali su cui vengono diffusi gli scatti modificati?
“Il ruolo degli ‘spettatori’ è più complesso di quanto si pensi”, fa notare la psicologa. Chi osserva o condivide quel materiale senza intervenire partecipa a un fenomeno di responsabilità diffusa: “non sono stato io”, “lo fanno tutti”, “tanto non è reale”. È un meccanismo di deresponsabilizzazione collettiva che anestetizza la coscienza morale. Inoltre, la logica dei social favorisce un consumo rapido, emotivo, privo di riflessione, in cui l’immagine diventa intrattenimento e l’altro smette di essere un soggetto ma è degradato a puro oggetto. È fondamentale, in tale contesto, promuovere un’educazione digitale che rimetta al centro l’etica dello sguardo e la consapevolezza delle conseguenze delle proprie azioni”.
Spogliate dei vestiti, ma non della dignità
-
Non riuscire a distinguere più realtà e finzione sui social è una tendenza sempre più diffusa negli ultimi tempi. Che impatto può avere a livello psicologico questo “effetto collaterale” dell’intelligenza artificiale?
“La confusione tra reale e artificiale – spiega la dott.ssa La Rosa – mina uno dei pilastri del benessere psicologico che è la coerenza dell’esperienza. Quando tutto può essere manipolato, anche la nostra percezione di autenticità vacilla. Si rischia di vivere in uno stato di iperrealtà dove ciò che appare conta più di ciò che è e questo può generare ansia, senso di inadeguatezza e un progressivo distacco emotivo dalla realtà. Per gestirlo – conclude – è necessario allenare lo sguardo critico e la presenza consapevole, imparando a rallentare, a verificare le fonti, a ricordare che dietro ogni immagine ci sono persone, emozioni e conseguenze. In questa prospettiva, l’educazione all’uso responsabile e consapevole dell’IA e la costruzione di un’etica digitale condivisa sono oggi una priorità non solo tecnologica ma profondamente umana“.
Intelligenza artificiale e superficialità umana
E allora ciò che alla fine dei conti è importante sottolineare, in questo continuo conflitto tra realtà e finzione, è che a rappresentare una minaccia in questo caso non è l’intelligenza artificiale, ma la superficialità umana. L’incapacità di comprendere che ci sarà sempre qualcosa di cui nessuna donna, anche se virtualmente denudata, potrà mai essere spogliata. E quella è la sua dignità.



