In pittura l’iperrealismo è una corrente in cui gli artisti si servono di tecniche fotografiche per una riproduzione meccanica della realtà. In fotografia, al contrario, la si può definire come una tendenza artistica volta a rappresentare le immagini con colori sgargianti, linee violente e soggetti perfetti con volti plastici e levigati. Per farlo, ovviamente, ci si avvale di programmi di photo editing come Photoshop, Lightroom, RawTherapee, Krita, ecc. o app come AirBrush e Retouch.
Si tratta di una pratica spesso criticata perché non tende a rappresentare la realtà così com’è ma per come dovrebbe essere nella mente del fotografo che, in tal modo, diventa un “iper-artista”. La resa plastica delle superfici, la cura ossessiva dei particolari e i giochi luminosi sono solo alcuni degli elementi che rendono una foto iperrealistica. Nell’iperrealismo tutto è perfetto, anche troppo.
Però è divertente notare come ci siano giovani generazioni, soprattutto i Millennial, affascinati dal processo di creazione di immagini iperrealistiche. Sono tantissimi, infatti, gli influencer che utilizzano tecniche iperrealiste per migliorare i propri scatti.
Dal punto di vista tecnico una foto non sarà mai la riproduzione fedele della realtà perché è determinata dalla qualità dell’obiettivo, dalla messa a fuoco, dalle lenti utilizzate, dai MegaPixel (MP), ecc. Così, i fotografi iperrealisti, invece di appellarsi al principio dei loro antenati, i pittori iperrealisti, secondo cui un dipinto doveva essere quanto più simile alla realtà, si appellano alla fotogenia, la capacità di “maggiorazione estetica” che si ottiene tramite l’editing fotografico, un tempo intesa, da Louis Delluc, come la qualità di alcuni oggetti o persone di risultare gradevoli, belli davanti all’obiettivo. Ecco che, per gli iperrealisti (e forse non solo per loro), vince l’apparenza, dettata dal desiderio di sentirsi socialmente accettati.