“Non riuscire a superare le difficoltà porta alla cultura degli alibi, cioè il tentativo di attribuire un nostro fallimento a qualcosa che non dipende da noi”. Ogni parola proferita da un pioniere dello sport come Julio Velasco sembra essere l’imperativo di ogni parentesi quotidiana.
L’allenatore italo argentino e le ragazze dell’Italvolley hanno conquistato la prima medaglia d’oro olimpica nella storia.
La risultante di questa saggezza smisurata è riconducibile alle mille tappe attraversate da Velasco nel corso dei suoi 72 anni. Era iniziata male l’Olimpiade con la morte del fratello Raul, una delle persone più importanti per il coach, eppure doveva esserci qualcosa per rendere digeribile quel boccone amarissimo.
Sono tre i punti principali che formano il triangolo “Velaschiano” sulla mappa geografica. La Plata, – luogo di nascita – l’Italia e Parigi compongono la preziosa galleria del maestro al servizio della bandiera tricolore.
Fili sottili che legano tante personalità. Egonu, Sylla, Omoruyi, Lubian, Antropova, Orro, Fahr, De Gennaro, Danesi, Cambi, Bosetti e Giovannini formano una macchina inarrestabile capace di perdere soltanto un set nel torneo disputato. Dietro la tv si percepisce quella mano invisibile che unisce atlete e mister, tutti sono consapevoli del momento tanto cruciale quanto raro.
Può capitare di non raggiungere un obiettivo ma l’importante è non farne un cruccio. Julio Velasco necessitava soltanto dell’oro olimpico – sfumato nel 1996 ad Atlanta quando allenava la pallavolo maschile – a coronamento di una carriera senza eguali.
“Godiamoci quello che abbiamo. Quando arriverà, arriverà”, dichiarava il mister prima della semifinale. Con gli occhi chiusi e una buona guida si può arrivare ovunque, la partita di ieri pomeriggio è l’esempio quasi unico di un evento che vorremmo dimenticare solo per poterlo rivedere.
Fonte foto Instagram – Federazione Italiana Pallavolo