Dal 7 al 12 giugno si sono effettuati i campionati europei di atletica. Mentre assistevo alle gare in TV, il mio pensiero andava subito alle successive Olimpiadi. La domanda che mi ponevo e che in qualche occasione, ho scritto, era sempre la stessa: come questi atleti avrebbero potuto far convivere due così importanti manifestazioni ad una distanza temporale così ravvicinata?
Cercavo di osservare attentamente gli atleti italiani per carpire se le loro “performance” fossero al massimo oppure un momento di passaggio verso uno stato di forma migliore. Ho osservato agli europei la corsa di Marcell Jacobs sui 100 metri che ha vinto in 10”02 e poi quella di Filippo Tortu sui 200 e nella staffetta 4×100.
La mia impressione era che Jacobs avesse ancora possibili margini di miglioramento, mentre Tortu avesse raggiunto già il “top”. Certamente la mia era solo una sensazione, poiché per capire, bisognerebbe conoscere il piano di lavoro ed il tipo di lavoro. Come sensazione l’azione di Tortu era già molto bella ed esplosiva, mentre quella di Jacobs non era così esplosiva, come nelle migliori condizioni di forma.
Questo discorso andrebbe fatto anche per gli altri componenti della squadra. Mentre pensavo (speravo) che Jacobs forse si sarebbe presentato meglio alle Olimpiadi, per Tortu il mio dubbio era se potesse tenere lo stato di forma per il prossimo appuntamento. In effetti alle Olimpiadi ho visto Jacobs che dal punto di vista cronometrico (9”92 sui 100) era migliorato, ma avevo ancora la sensazione che non riuscisse ad “esplodere” nel passo di corsa (deve ancora migliorare, o si tratta di problemi dovuti al cambio di allenatore e di preparazione?), mentre Filippo Tortu decisamente è sembrato aver perso visibilmente rispetto agli europei (sicuramente egli si trova adesso, in fase calante).
Tutto ciò sembra un discorso strano; cosa significa essere in fase calante, quando, meno di due mesi fa egli sembrava esplodere ad ogni spinta?
Per un esperto ciò è chiaro, mentre non lo è per la stragrande maggioranza delle persone; nel calcio o nella pallacanestro, ci si chiede: ma perché tutto ciò non si verifica. Cercherò, con parole semplici di spiegare la problematica.
Nell’alto e altissimo livello, la programmazione annuale è notevolmente diversa fra le attività individuali e di squadra. Mentre in queste ultime il periodo agonistico è lungo e l’atleta deve essere sempre in grado di esprimersi al meglio (relativo), nelle attività individuali si punta al massimo rendimento in una solo direzione e un determinato periodo dell’anno (semplice) o puntare a due picchi (preparazione doppia); quando non ci sono impegni particolari, come mondiali o europei, si può (per l’altissimo livello), puntare ad una preparazione ondulatoria per far coesistere un buon livello per più lungo tempo (spingere e alleggerire), secondo gli impegni, ma in tal caso non si punta a risultati cronometrici o di misura, di eccellenza. Addirittura c’è chi fa una preparazione pluriennale per arrivare, dopo quattro anni di preparazione, a raggiungere il massimo.
Tutto ciò non vale per gli sport di squadra. In effetti oggi, sotto la spinta degli sponsor, ciò potrebbe essere sconvolto ed agire in modo differente per rispondere alle esigenze che la società richiede. Sì! Proprio per questo, queste teorie vengono spesso non osservate.
Per esempio in una disciplina individuale come il tennis, notiamo una programmazione che prevede una continua e lunga serie di tornei in cui la forza del denaro supera la razionalità della preparazione; ecco perché notiamo improvvisi e visibili cali di rendimento o l’insorgenza di problemi strutturali e/o psichici: l’organismo reclama il proprio ripristino.
A questo punto vediamo che in uno sport come l’atletica, si punta in genere, al massimo rendimento in un particolare periodo. Questo massimo stato di forma non può essere mantenuto per lungo tempo, ma a volte è breve ed intensissimo. È anche difficile centrare il punto massimo, perché questo si può raggiungere primo ed essere il leggero calo, oppure dopo, facendo i migliori risultati tardivamente.
In un gioco sportivo di squadra non si ricerca il massimo in un periodo ristretto, ma un livello leggermente più basso che si possa però tenere per un tutto il campionato.
L’atleta sarà veloce, ma non come un velocista, sarà resistente ma non come un mezzofondista, sarà un po’ di tutto ma non a livelli relativamente alti. Tutto ciò permette all’atleta ed alla squadra, di potersi esprimere per un periodo ben più lungo. Ecco perché a volte mi viene da sorridere nel sentire i preparatori di calcio parlare di massima potenza aerobica o di massima velocità, quando di massimo il giocatore non avrà mai se vuole mantenersi per tutta la stagione.
Ora, io mi chiedevo: “Come si fa a fare Europei e Olimpiadi, con un periodo così breve fra le due manifestazioni?”. Qualcuno avrà scelto la prima, qualcun altro la seconda, usando la prima come una ricerca progressiva della forma, per arrivare al meglio all’appuntamento finale.
Un grande dilemma che qualcuno avrà pensato di risolvere, vincendo agli europei e sperando che la leggera fase di recupero e ripristino gli potesse consentire di fare bene in ambedue. Chi ne ha beneficiato sono stati gli atleti delle nazioni extra europee.
Ma allora, per non forzare troppo la mano e non rischiare impegni così ravvicinati, creando problemi di programmazione, non sarebbe stato più semplice distanziare i due importanti impegni? Le decisioni per questi problemi chi le prende, l’organizzazione sportiva o il grande volume di denaro degli sponsor? Chissà!
Articolo a cura di Alfio Cazzetta
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