Vaccino Coronavirus: il lavoratore può essere licenziato in caso di rifiuto?

Vaccino Coronavirus: il lavoratore può essere licenziato in caso di rifiuto?

ITALIA – Un argomento questo che interessa da vicino la nostra società, che divide e non poco l’opinione pubblica e scientifica in considerazione delle incerte conoscenze circa gli effetti a lungo periodo del recentissimo vaccino anti-Covid. È certamente, ad oggi, l’unico mezzo per uscire dalla pandemia, ritenuto sicuro e senza effetti collaterali di rilievo, ma che nonostante ciò, desta in questa fase iniziale alcuni dubbi sulla sua efficacia nel tempo.

In questo contesto, certamente in evoluzione anche dal punto di vista legislativo, l’eventuale rifiuto a sottoporsi alla vaccinazione può causare il licenziamento? Facciamo alcune considerazioni.

Cosa dice la Legge

La Costituzione, all’art. 32, statuisce che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. Dunque, a una prima lettura, dispone l’assenza di qualsiasi obbligo vaccinale, se non con apposita legge. Tale tipo di normativa, è stata già in passato più volte varata per alcuni vaccini (poliomielite, epatite b, tubercolosi ecc.) ma, ad oggi, nessuna previsione è prevista per il vaccino Covid.

Il nostro Codice Civile, però, all’art. 2087, obbliga l’imprenditore, pubblico o privato, ad adottare “le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Questa formulazione, impone al datore di lavoro di prendersi cura della salute dei propri dipendenti. È legittimato pertanto il datore di lavoro a richiedere ai propri dipendenti la sottoposizione al vaccino Covid, dovendo tutelare attraverso tale sistema, la salute della collettività dei propri lavoratori. D’altronde, è chiaro, la sottoscrizione tra le parti di un contratto di lavoro, obbliga entrambe le parti al rispetto di diritti e doveri reciproci. Invitare il proprio dipendente al vaccino, può essere visto, ne più ne meno, come il rispetto di una direttiva ragionevole che il datore pone verso il proprio dipendente.

Contestare la vaccinazione per il semplice fatto di non conoscere perfettamente gli effetti collaterali a medio o lungo termine, non può chiaramente trovare alcun accoglimento. Qualsiasi vaccino, compreso il vaccino anticovid di ultima generazione, prima di essere distribuito, viene sottoposto ad accuratissime verifiche medico-scientifiche e, proprio per la ritenuta urgenza di una vaccinazione di massa su scala planetaria, la valutazione tra effetti della diffusione del virus ed eventuali e ad oggi scongiurati effetti collaterali anche blandi, tende nettamente a favore del vaccino.

D’altronde è obbligo anche per il lavoratore stesso, di prendersi cura della salute e sicurezza propria e degli altri colleghi, come previsto dall’articolo 20 del Testo Unico sulla sicurezza negli ambienti di lavoro.

Altra norma fondamentale è l’art. 279 del citato Testo Unico, che prevede in modo più specifico l’obbligo per l’imprenditore di richiedere la vaccinazione del dipendente. Una disposizione questa generica e prevista per il rischio durante la lavorazione, ma che obbliga l’imprenditore a prevenire un rischio di infezione derivante da un virus altamente contagioso.

Questo è particolarmente evidente nel caso di un ospedale o casa di cura: l’eventuale mancata vaccinazione dei dipendenti, espone la direzione sanitaria a gravi responsabilità nel caso in cui il contagio determini la morte di un paziente. Stesso discorso valido per alberghi, trasporti, ristorazione.

Le possibilità di rifiuto del vaccino

Anche in presenza di una auspicabile previsione legislativa che a breve potrebbe rendere obbligatoria la vaccinazione anti-Covid in tutti gli ambienti di lavoro, ciò non vuol dire che possano essere opposte specifiche motivazioni al rifiuto di vaccinarsi. La presenza di comprovate patologie che sconsiglino la vaccinazione, lo stato di gravidanza oppure cause di particolare malattia, devono certamente avere rilievo ai fini di un rifiuto vaccinale.

È lo stesso art. 32 della nostra Costituzione a tutelare, in primo luogo, il diritto alla salute individuale. In casi del genere, sarà il datore di lavoro a dover predisporre particolari accorgimenti sul luogo di lavoro per consentire lo svolgimento dell’attività al non vaccinato (es. smart working).

Le conseguenze del rifiuto ingiustificato

Se il rifiuto risulta del tutto ingiustificato e dunque non basato su un comprovato impedimento personale di natura medico-sanitaria, gli esiti lavorativi possono essere di vario tipo. Non esistendo ad oggi ancora una previsione legislativa specifica in tal senso, il datore di lavoro di buon senso provvederà in primo luogo a sentire personalmente il proprio lavoratore o a rivolgersi al rappresentante sindacale per evidenziare il problema.

In ogni caso, il rifiuto del dipendente alla vaccinazione è in astratto suscettibile di essere trattato allo stesso modo del rifiuto di una qualsiasi altra misura di sicurezza, che può portare alla sospensione dall’attività senza alcun trattamento economico o, nei casi più gravi, al licenziamento disciplinare.

Conclusioni

In definitiva, ad oggi, mancando ancora una legislazione ad hoc per il vaccino anti-Covid, risulta certamente difficile individuare le conseguenze certe di un rifiuto alla vaccinazione da parte del dipendente. Molto dipenderà dall’ambito lavorativo cui viene svolta l’attività, che sarà tanto più delicata quanto più stretto il contatto tra colleghi e/o clientela o pazienti.

Certamente, trattandosi di un rapporto contrattuale, il datore di lavoro potrà, dopo un confronto diretto con il proprio lavoratore, prendere anche dei provvedimenti gravi che, al fine di assicurare la salute della collettività dei propri dipendenti, andranno dal demansionamento, alla sospensione non remunerata, fino anche al licenziamento.

L’obbligo di vaccinazione potrebbe, dunque, diventare indiretto: non obbligato il lavoratore a vaccinarsi, ma inibito l’accesso al proprio posto di lavoro e probabilmente, a breve, anche all’utilizzo dei mezzi di trasporto, di alberghi e altro.