In Italia sono circa due milioni le vittime di diffusione non consensuale di materiale intimo, tale condotta è nota come revenge porn, mentre più del doppio delle persone conoscono qualcuno che ne è stata vittima.
Nonostante siano passati quasi tre anni dall’entrata in vigore della norma (vd. infra) che punisce il revenge porn, la condivisione non consensuale di materiale intimo non è ancora considerata alla stregua di altri reati. Ciò non lo è nemmeno per una vittima su tre, che scopre il fatto attraverso messaggi privati, chat, forum online, canali ad hoc e passaparola. Il mancato riconoscimento è probabilmente legato anche al fatto che il legislatore italiano associa la condivisione di immagini a un sentimento di vendetta nei confronti della vittima, da cui l’utilizzo del termine “scorretto” revenge porn.
Il fenomeno però è in realtà molto più diffuso di quanto si pensi, in Italia una persona su sei ha prodotto questo tipo di contenuti almeno una volta, e la metà ha ammesso di averli anche condivisi. A farne le spese sono per il 70% dei casi donne eterosessuali, con un’età media di 27 anni. Ciò che maggiormente le differenzia dagli uomini vittime di questo reato è il modo in cui vengono a conoscenza della diffusione del contenuto: per le prime la scoperta avviene spesso in autonomia o a seguito della segnalazione da parte di conoscenti o sconosciuti; per gli uomini è più frequente essere direttamente taggati nella foto, avvisati dal partner, dai familiari o dalle forze dell’ordine.
Il reato di revenge porn nasce a seguito della maggior fruibilità da parte degli utenti dei social network ed è riconducibile alla condotta di colui che, in possesso di materiale dal contenuto sessualmente esplicito, diffonde fotografie o video del soggetto ivi ritratto.
Per porre un freno a tale dilagare, il legislatore ha deciso di criminalizzare detto comportamento introducendo nell’alveo del codice penale l’art. 612-ter, rubricato “Diffusione illecita di immagini o
video sessualmente espliciti”, ad opera dell’art. 10 della legge n. 69 del 2019.
La norma punisce chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, li consegna, li cede, li pubblica o li diffonde senza il consenso delle persone ivi rappresentate. L’autore del delitto è, dunque, chiunque ponga in essere i comportamenti elencati dopo aver ricevuto il materiale da terzi o averlo acquisito autonomamente.
Si evidenzi che l’oggetto della condotta corrisponde alle immagini e ai video a contenuto sessualmente esplicito, espressione del tutto generica. Al fine di definire con precisione il concetto, si tende a mutuare la nozione di pornografia minorile di cui all’ultimo comma dell’art. 600-ter c.p. ossia ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un soggetto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali dello stesso per scopi sessuali.
La disposizione prevede che l’autore commette il reato solo se agisce al fine di recare nocumento alla persona offesa; pertanto, la norma richiede il dolo specifico. La condotta tipica, realizzabile da chiunque, si concretizza nell’inviare, consegnare, cedere, pubblicare o diffondere detto materiale. Tuttavia, in questo caso la fattispecie si riferisce solo a chi abbia precedentemente realizzato personalmente il materiale sessualmente esplicito. Si aggiunga che se le prime tre modalità si basano su un contatto diretto tra l’autore e il terzo, le ultime due (cioè pubblicare o diffondere) sono destinate a una platea indeterminata di destinatari.
Altro elemento oggettivo del reato è rappresentato dalla mancanza di consenso della persona offesa, il quale si ricollega alla circostanza secondo cui si deve trattare di materiale destinato a rimanere privato. Il primo comma della norma punisce con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000, le condotte che abbiano ad oggetto fotografie e video scambiati nell’ambito di un rapporto di coppia.
La dottrina, sul punto, riprende quanto affermato dalla giurisprudenza circa il delitto di violenza sessuale secondo cui “in assenza di indici chiari e univoci di consenso, si deve presumere il dissenso del destinatario degli atti sessuali (nel caso di specie, del titolare dei dati divulgati)“.
La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento.
La diffusione delle immagini a contenuto sessualmente esplicito è così repentina che richiede una tutela immediata per evitare una divulgazione tale da non poter essere più controllata, tenuto conto che i mezzi di comunicazione (chat di gruppo, social, mail etc…) raggiungono un platea di soggetti in brevissimo tempo, accentuando così il nocumento per la persona coinvolta.
Oltre all’immediata istanza di punizione all’Autorità Giudiziaria, nel nostro Ordinamento è stata prevista anche la possibilità di ricorrere al Garante per la Privacy. Detta authority mette a disposizione un proprio canale di emergenza, sul sito istituzionale, per combattere i fenomeni di pornografia non consensuale, una tra le forme più odiose di violenza sulle donne. Infatti le persone maggiorenni che temono che le proprie immagini intime, presenti in foto e video, vengano condivise, possono rivolgersi al Garante Privacy, mentre per i minorenni le segnalazioni possono essere fatte dai genitori o dagli esercenti la responsabilità genitoriale o la tutela.
Tali segnalazioni vengono effettuate on-line, con apposito modulo presente sul sito istituzionale del Garante per la Privacy, corredate da video, immagini o altri documenti informatici che si assumono essere a contenuto sessualmente esplicito e che possano nuocere all’interessato. La normativa di riferimento in questo caso è la legge 196/2003 e succ. mod. e int., specificatamente l’articolo 144 bis e il Regolamento del Garante 1/2019 all’articolo 33 bis.
Le norme richiamate possono essere utilizzate per prevenire e/o impedire la pubblicazione di materiale sessualmente esplicito che possa nuocere a chiunque abbia un fondato motivo che, video, audio, immagini o altra tipologia di materiale, possa essere oggetto di invio, consegna, cessione, pubblicazione, attraverso una piattaforma senza il consenso. L’Autorità Garante potrà assumere provvedimenti sanzionatori, potrà individuare delle misure per impedire la diretta identificabilità degli interessati nei confronti dei gestori delle piattaforme digitali che, inoltre, hanno l’obbligo di conservare il materiale oggetto del provvedimento del Garante per dodici mesi.
Nel caso, invece, che il Garante, a seguito della segnalazione, acquisisca notizia della consumazione del reato di cui all’articolo 612-ter del codice penale, anche nella forma tentata, trasmette al Pubblico Ministero la segnalazione ricevuta unitamente alla documentazione acquisita.
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