A guardarlo, il cielo assomiglia a uno scudo di protezione. Un giorno, all’improvviso, diventa casa di chi hai amato con tutta te stessa e da quel momento cominci ad odiarlo. L’azzurro ha mentito, non era affatto una promessa di pace, ha tolto con l’inganno, rubato senza pietà. E tu adesso sei povera a testa bassa per non incontrare il colore dell’offesa, perché è proprio così che ti senti, un corpuscolo a cui è stato portato via il senso del tuo respiro.
La scrittrice giapponese Banana Yoshimoto ci ospita nel suo salotto emotivo con tutta la dolcezza della cultura del Sol Levante, con una scrittura gentile raggiunge i continenti bussando alla porta del suo lettore, alla ricerca di una sorgente purificatrice dalle scorie dei giorni.
Due giovani fidanzati in viaggio destinazione vita sono costretti a frenare il sogno. Un gravissimo incidente pianificato dall’imbroglio azzurro paralizza il passo a due, cancella la fetta di luna raggiante perché al centro del mirino di quattro pupille in estasi per amore. Adesso sul podio della solitudine sventola la bandiera della vittoria, il sabotatore di sogni applaude l’esito del suo crimine folle.
In un solo istante il girotondo fatale della lancetta ha spento per sempre il corpo di Yoichi e ha falciato le rose del futuro di Sayoko. Il giovane Yoichi era un artista molto conosciuto, le sue opere sono esposte nei più importanti musei del mondo, il suo studio è sempre stato frequentato da tanti amici ed estimatori del suo talento. L’incidente segna una cicatrice profonda sul corpo di Sayoko, quando risorge dalla corsia di un ospedale scoprirà che un vuoto sovrano la sta aspettando sulla porta di casa.
Dolore fisico e morte di cuore saranno suoi coinquilini per molto tempo. La penombra conquista uno spazio rubato al bagliore del sole il giorno dell’incidente, evasione leggera, il vento tra i capelli e poi…Sayoko rinviene in un corpo diviso a metà, sorpreso a brancolare dentro l’anima dilaniata dal dolore. Il rito della morte si rinnova concimato da una ragione che non comprende i mille perché costretti a marciare in fila dietro risposte disordinate, morte conquistata da un aquilone affamato di cielo.
Sopravvissuta a se stessa, Sayoko ritorna al suo tempo farcito di futuro al singolare, dal letto all’isola di quel piatto sulla zattera di un tavolo, ogni cosa assume le sembianze di una scatola di colori rovesciata sopra la bozza di una felicità cominciata a quattro mani e finita mai. La separazione crudele firma la fine di un film scortato da proiettili veloci a recidere ogni domani, segnato da numerosi punti di sutura il protagonista superstite ritorna a casa con la carne afflitta da spine smaniose di un abbraccio ancora.
Quando una catastrofe si abbatte sulla vita, due sole le opzioni: lasciarsi travolgere dalla valanga giunta a valle carica d’innocenza decimata, oppure guardare il dirupo con pupille di ghiaccio per anestetizzare il dolore prima di sentirne le fitte.
“Che cos’è il Mabui?”, chiede Sayoko all’amico Shingaki. “L’anima. A Okinawa si dice che se ti cade il Mabui devi tornare a raccoglierlo nel punto in cui è caduto”.
Il viaggio al contrario del Mabui, ovvero il ritorno alla completezza del corpo mutilato del suo sostegno, diventa l’ombra di Sayoko accompagnandola nella ricerca della seconda parte di una scalinata composta da gradini pronti ad applaudire alla prima caduta. Il Mabui di Sayoko c’è ancora, scampato al cortoccio di lamiere pretende e ottiene l’attenzione della giovane vedova in ginocchio sull’altare della bellezza: l’eternità di un amore benedetto da una promessa immortale.
“Vai, vai! Era la vita stessa a incitarmi. L’esistenza non conosce colpi di scena né finali. Si limita a scorrere, a muoversi. Non c’è soluzione alla morte dei nostri cari. Piuttosto che stare male perché non possiamo più vederli, è meglio andare avanti in silenzio, anche se ci sembra di stare guadando una pozzanghera. Fino a quando il mondo riprenderà colore”.
Il viaggio introspettivo di Sayoko raggiunge visioni magiche, fantasmi irreali accorsi a colmare l’essenza divorata dalla pena. Questo è il nido segreto, questa la via di fuga dalla realtà disperata, questo l’incipit di una nuova ora ancora notte. Richiamata dalla Luce l’anima saluta le membra umane con un inchino alla coperta di pelle grata a Dio per il suo immenso valore, cos’è l’amore senza un abbraccio? Il sentimento implode se privato di una carezza.
L’altra dimensione non ci è data conoscerla fino al nostro ultimo compito assolto, in quel momento tuonerà un rumore nato pentagramma di colonna sonora al passo. Sarà necessario presentare un biglietto da visita? Dimentica pure il tuo nome, quella nuvola, proprio quella lì in fondo, lo ha sempre saputo. Sayoko lascia scorrere le lacrime contandole una ad una, goccia dopo goccia il tenero ricordo di Yoichi perdona il lago sul viso additato dall’estraneo al dolore come pioggia ribelle alla legge di Dio.
“Sono in tanti a desiderare un cambiamento radicale, ma quasi nessuno capisce di cosa si tratti per davvero. Io non facevo eccezione. Speravo di cambiare, di diventare più forte. Ma i cambiamenti stravolgono l’ordine delle cose in modo inarrestabile. Chi c’era fino a un momento prima d’un tratto non c’è più, le cose che avevamo ci sfuggono dalle mani. La sola certezza che ci rimane è che esistiamo. Non capiamo nemmeno in cosa siamo cambiati. Sappiamo solo di non essere più gli stessi”.
“Lasciami andare…”, tuona nel cuore la copia di una voce, ma la preghiera fallisce, le mani giunte nell’idea di un sorriso si attorcigliano in un incastro feroce. A lezione di volo Yoichi è stato ammesso e promosso, Sayoko rimane a terra, esclusa dal giro di giostra che l’ha resa felice. L’àncora non c’è più, la deriva tenta una seduzione da respingere con le poche forze rimaste, se un sorso di vita ancora c’è, il battito è un diritto da difendere da tutti gli spasmi del mondo. Il forziere di lacrime non si asciugherà mai, resterà congelato in attesa della metamorfosi in distillato di gioia, non c’è fretta dove riposa la preghiera di speranza.
Il giorno dopo lo tsunami del 2011 di Fukushima, Banana Yoshimoto decide di ricongiungere le tessere di un puzzle giapponese esploso di rabbia, la vita giace spoglia delle vesti cucite con l’illusione di un sogno. La perdita di un affetto rade al suolo l’impero di un raccolto obbediente al ciclo delle stagioni, che la terra non sia più fertile traspare dal colore delle foglie svenute sotto l’albero. Una dichiarazione di lutto si sovrappone al messaggio d’amore, sovvertendo la posizione di virgole e sillabe capovolte in un tetro alfabeto che esegue gli ordini di regina morte.
Banana Yoshimoto commuove il suo lettore ma gli resta accanto per amorosa cura, offrendogli il fazzoletto ricamato con caratteri dati alla stampa per confortare.
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