“Fame d’aria” di Daniele Mencarelli

ITALIA – Un padre dà la vita a un figlio, lo vedrà correre per il mondo con le proprie gambe, l’uomo nuovo sarà libero di prendere a morsi gli anni accompagnati da un bicchiere d’aria fresca. Sono polmoni affamati quelli di scorta alla generazione stanca di abitare la vita dissolta in un addio.

Si chiama Pietro, si chiama Jacopo. Un padre e un figlio come milioni al mondo assomigliano a due di tanti che per un crudele destino sono specchio di nessuno, due riflessi della catena d’amore che unisce il bianco e il nero, la forza e la piaga.

Fame d’aria” di Daniele Mencarelli, poeta e scrittore, è un romanzo dalle note fragili in attesa dell’avvio al dramma di un padre in guerra con tutto quello che non è stato.

Autismo a basso funzionamento“, una forma rara e grave. Questa la diagnosi formulata a due genitori sconvolti da un paio di righe colpevoli di aver devastato un foglio e un figlio, Jacopo, apparentemente “normale” fino agli otto anni, poi sempre più inghiottito dalla patologia che lo ha reso fantasma con tutti gli organi al loro posto. La mente però ha deciso di deragliare con tutto il suo bagaglio di sensazioni, emozioni, paure sconfitte dalla gioia di essere fiore protagonista di un giardino sempreverde.

La mamma di Jacopo ha imparato ad amalgamare la sua vita con quella del figlio, il suo cuore ha scelto il modo migliore per ripetere il battito senza accelerazioni che non avrebbero né guarito, né aiutato quel figlio bisognoso di lucide attenzioni. Pietro, il padre di Jacopo, si è sempre rifiutato di indossare una maschera sopra il dolore. La sofferenza ha voluto trasformarsi in rabbia a misura di uomo rimasto solo con il cuscino spettatore delle sue notti nere.

La malattia di Jacopo condanna Pietro, paradossale osmosi del male addosso a chi sente il dolore dell’altro perché seme di un petalo fatto a pezzi dal vento.

Scrondo” è il secondo nome di Jacopo, così Pietro chiama suo figlio, con l’epiteto buffo di un personaggio televisivo di qualche decennio fa, un mostro verde dalle orecchie a punta, sdentato, il volto annerito da uno sguardo spettrale. Jacopo però non è morto, vive le sue giornate farcite di versi strani che nel subconscio lui considera parole, strategie di comunicazione del pensiero offuscato.

Location della storia è un viaggio in Puglia con deviazione obbligata a Sant’Anna del Sannio in Molise, a causa di un guasto all’auto. La sfortunata avventura apparecchia un tavolo di confronti dal quale è impossibile uscirne emotivamente illesi. I nuovi incontri portano salvezza quando la punta dell’iceberg è stata consumata da un latente agguato alla ragione. Povero Pietro, anima e corpo nel vortice della malattia del figlio che con le sue lunghe litanie di “mmm” chiede aiuto nell’unico modo a lui concesso dalla disumana natura.

Sterile ogni preghiera al miracolo indifferente dietro la porta, vane le invocazioni di un padre distrutto.

“Il miracolo non è mai arrivato. Come unica risposta, da est è spuntato l’odio. Ha ricoperto tutto, i sani e i malati, la vita intera. Per anni è stato così. Poi pure l’odio è tramontato. Resta la rabbia, quando esplode”.

Pietro, cinquant’anni, di professione grafico, nelle parole di conforto all’uomo con la bussola persa torna a far pace con sé stesso e con il mondo sbagliato. Il meccanico Oliviero e Agata, la locandiera, trovano posto nella storia come personaggi di un presepe curativo della fede senza forze. E poi Gaia, forse un acuto sentimento di pietà dello scrittore che ascolta la “fame d’aria” di un padre in un labirinto dalle pareti di sabbia.

La presenza femminile miete dolcezza subito raccolta a piene mani da un uomo che, nella fretta, ha dimenticato di vivere. Nessun coinvolgimento sentimentale confonde l’abbraccio di bene profuso a Pietro, non è così semplice riportare alla memoria che lui non è solo il padre di Jacopo, un diciottenne con le facoltà cognitive di un bambino. Pietro è un uomo in costante metamorfosi perché il Signore gli ha affidato il compito di moltiplicare l’amore per un solo, unico figlio.

“Non ricorda, Pietro, quando è stata l’ultima volta che ha parlato con un altro essere umano di sé stesso e non del figlio. Proprio di lui”.

La disabilità di un figlio contagia tutta la famiglia in un crescendo di emozioni nervose che il tempo, anziché costituirsi parte civile del dolore, spesso conferisce dosi massicce di rabbia. La paura del “dopo” ostruisce la strada della rassegnazione quale unica parvenza di normalità della vita che resta. Chi si occuperà di Jacopo quando Pietro non ci sarà più? Probabilmente si apriranno per lui le porte di un istituto che a volte fallisce il complicato dovere di farsi padre e madre di un bambino dentro il corpo di un uomo.

La legislazione del nostro Paese riconosce il disturbo dello spettro autistico solo come “disturbo dell’età evolutiva“. Con il passaggio all’età adulta, la grave patologia non è più tutelata dai diritti che garantiscono assistenza sanitaria ed economica.

Daniele Mencarelli ha scritto una storia satura di triste realtà per scuotere le coscienze con il nero su bianco sulle tracce di espressioni forti, imboccate dalla “fame d’aria” rimasta digiuna nelle teste pensanti. Fame di respiro libero di volare in assenza della forza di gravità che, perversa per noia, lo riporterebbe nel mondo ingiusto.

Articolo a cura di Sara D’Angelo