Donne dell’anima mia di Isabel Allende

Donne dell’anima mia di Isabel Allende

Dai primi passi incerti e curiosi al declino dei suoi giorni, con 70 milioni di libri venduti e tradotti in 40 lingue, Isabel Allende, la prolifica scrittrice cilena, per la prima volta si confessa in un libro dove lei è la copertina, il cuore e il sigillo del suo parto cerebrale.
Sovrana assoluta del suo regno di lettere.

Un percorso intimo ma da questo momento non più privato, la sensazione di averla vicino in un pomeriggio d’inverno davanti a una fumante tazza di tè, mentre con una voce pacata tipica dell’età di valore ci distende la sua vita perché se ne tragga lezione e ispirazione.

“La mia idiosincrasia nei confronti del machismo cominciò proprio nell’infanzia, vedendo mia madre e le domestiche della casa come vittime, subalterne, senza mezzi nè voce, o per aver sfidato le convenzioni, nel primo caso, o per il fatto di essere povere. L’indignazione era un’anomalia all’interno della mia famiglia, che si considerava intellettuale e moderna, ma che, in confronto ai modelli di oggi, apparteneva al Paleolitico”.

Dall’egemonia della sua cattedra Isabel Allende pontifica il suo femminismo che l’accompagna fin “dai tempi dell’asilo”. Una pagina di letteratura al confessionale offerto al mondo, una manna per nutrire i suoi lettori, un comandamento ribelle per il denigratore avverso.

La Allende sbriciola i suoi 78 anni di scrittura e d’amore, rarissimo e singolare caso in cui la stagione è orfana del suo autunno, foglie e virtù sempreverdi, al limite dell’immortalità. Una celebrazione anomala, perché non postuma ma fotografata quando ancora il respiro gode di sé. È biografia ma forse è saggio sui diritti violati delle donne, sul femminismo inteso come guerra al machismo ostentato a scudo di protezione. Sfiorando l’ultima pagina il dubbio vagabondo si dissolve atterrando nel manuale di una donna per le donne, tutte, nessuna esclusa.

Dagli albori di un attivissimo impegno sociale alla fondazione “Paula” in memoria della figlia scomparsa in giovane età, una lacerazione che nessun cuore di madre è capace di rammendare. Il femminismo di Isabel è manifesto in ogni sua collaborazione con organizzazioni governative, associazioni di volontariato, nel mondo ci sono milioni di donne e bambini che gridano senza voce l’elenco delle violenze e dei soprusi, la debolezza soggetta alla dittatura del patriarcato, maschera protettiva di una recita.

Le organizzazioni nazionali e mondiali a tutela dei diritti umani sono sempre più spesso sotto riflettori esibizionisti ma dall’indifferenza spenti. L’umanità allo specchio della corrente di fiumi d’inchiostro a partire dai lontani anni ’40, dallo sbarco nel mondo di Isabel Allende alle lancette inclementi che mettono fretta al tempo del congedo. Una vita lunga e appassionata in compagnia di più di un marito, la paura del vuoto inzuppato di tempo, ogni pericolosa solitudine deve essere paralizzata sulla soglia, pronta ad emarginare. E allora un uomo: àncora di salvezza per gli anni che non hanno mai salvato nessuno, gli ultimi.

L’intimità di Isabel Allende allo schermo su pagine senza pixel ma turbate dagli occhi puntati addosso di milioni di lettori, la vita privata è stata consegnata al pubblico dalla scrittrice, la femminista, la madre, tre donne in una per 78 anni. L’essenza è qui. Isabel non ha voluto diluire le tappe fondamentali del suo passaggio per non claudicare la lealtà del rapporto con i suoi lettori, da quattro decenni solido e cristallino, una corrispondenza reale e virtuale mai tradita, la promessa mantenuta in un matrimonio senza sposi.

Tutta la sua vita a tutti. Una confidenza resa a tratti drammatica dall’elenco di storie di donne usate e abusate, alleggerito dalla passione per la vita. La missione della donna. Due le figure maschili testimoni delle sue lotte femministe, il nonno e lo zio Ramón, spettatori increduli delle battaglie di Isabel, isolati in una reazione concentrata a nuotare nel silenzio. Lo zio Ramón, secondo marito di sua madre Panchita, era un uomo sicuro di sé solo se chiuso nel recinto del suo carattere indulgente.

Isabel Allende salvata dalla scrittura. La lettera alle “sue donne dell’anima mia” firma il potere salvifico della scrittura. Una donna innamorata della sua penna provoca spasmi di terrore nel modello di famiglia omologato alle necessità dell’uomo. Proprio in Cile, la sua casa, Isabel ha avuto modo di sperimentare la parentesi oscura di scrittrice quando, nel 1982, pubblicò il suo primo romanzo “La casa degli spiriti”. Le case editrici e tutto il comparto dell’editoria posero barriere su barriere, al fine di stroncare sul nascere le ambizioni letterarie di una donna.

Il nemico è la donna focalizzata nel mirino delle sua competenze e sovrana del dono di procreare. Il grembo materno è sempre stato oggetto di un possesso fantasma del patriarca e con la complicità dei potenti, analfabeti di articoli costituzionali, il dramma dell’universo femminile si è propagato a macchia d’olio. La contraccezione è un reato, un peccato, Stati e religioni hanno deciso in coro. L’aborto è un delitto, questa è la sentenza.

Dal 1996 la fondazione “Paula” gestita da membri motivati da un fortissimo impegno sociale, si occupa di permettere alla donna di decidere sui tempi e sui modi della propria fertilità, lontano dall’ingerenza di falsi discepoli del focolare domestico.

Il carattere narrativo della Allende è agile e snello, a sembianza del passo femminile: non esiste tacco 12 che rallenti la determinazione in un progetto. L’inciampo è previsto, ma ritenuto spia di allerta per prepararsi al prossimo obiettivo con una più massiccia dose di concentrazione. Duecento pagine di femminismo scritto e vissuto sulla pelle di una donna eroina del nostro tempo, “orfana” di una figlia e sorella di tutte le figlie del mondo. Anime gemelle ma estranee, il sangue spesso non fa un parente, una carezza è già famiglia.