ITALIA – Il referendum abrogativo sul divorzio del ’74 chiamò gli italiani alle urne proprio il 12 e 13 maggio per esprimere la loro preferenza sull’eventuale rinuncia dell’istituto, con conseguente e inevitabile contrazione di diritti, oppure il mantenimento del divorzio. Quella scelta cambiò l’Italia e il diritto di famiglia a seguire: vinse il “no“.
Un piccolo, ma immenso passo verso la libertà di stare assolutamente con chi si vuole condividere la vita. Si tratta, in molti casi, di decisioni difficili, da ponderare bene, mentre in altri contesti non vi è alcun dubbio e si vuole arrivare alla fine per ricominciare più forti di prima senza il coniuge.
Esigenza di ridurre i tempi
Uno dei principali “problemi” è quello relativo alle lungaggini processuali poiché, prima di arrivare realmente al divorzio, possono passare anche molti anni. Si lascia così, purtroppo, la coppia “ancorata“ a una realtà che fa – oggettivamente – male, rimane un po’ col “fiato sospeso” in attesa di giudizio.
Per ovviare a ciò, sono stati compiuti diversi tentativi normativi che hanno condotto a risultati significativi e il riscontro è stato immediato: il numero dei divorzi è in costante crescita, segno che quel “no” al referendum del ’74 ebbe un peso non indifferente.
Ai microfoni di NewSicilia è intervenuta Chiara Catania, avvocato del Foro del capoluogo etneo, per analizzare da vicino l’istituto del divorzio breve, per poi passare alla recente proposta sul divorzio lampo fino a giungere a un’importante novità dell’attuale governo che sarebbe pronto a riformare nuovamente il processo civile per consentire un’ulteriore semplificazione in tema di diritto di famiglia. L’esigenza è sempre una: accelerare, semplificare e ridurre i tempi.
Divorzio breve
È bene attenzionare, quindi, prima tra tutti, la legge 55/105 che ha introdotto il “divorzio breve“, volto proprio a ridurre il tempo di separazione necessario per poter chiedere lo scioglimento definitivo del rapporto coniugale: ossia dopo 6 mesi di separazione (che deve essere pronunciata dal giudice) se questa è consensuale e dopo un anno se non lo è.
Prima, ricordiamo, era necessario che la separazione personale dei coniugi si fosse protratta ‘ininterrottamente’ per almeno tre anni e ciò significava che, se i coniugi si fossero riconciliati a seguito di un riavvicinamento di fatto, il divorzio avrebbe potuto essere pronunciato solo a seguito di una nuova separazione.
Di certo è stato alquanto notevole l’impatto del nuovo istituto sulle vite delle famiglie italiane, atteso che, come rendeva noto l’Istat in quegli anni, a seguito della sua introduzione, si registrò un importante aumento del numero di divorzi, a differenza dell’aumento delle separazioni che fu più contenuto.
“La riforma sul ‘divorzio breve’ ha rappresentato una svolta epocale per il Paese e per tutte quelle coppie che attendevano da tempo una misura che gli permettesse in tempi più rapidi di chiudere con il passato e rifarsi una nuova vita“, ricorda l’avvocato Chiara Catania.
Tempi ridotti
“Le nuove disposizioni, che hanno modificato la legge n. 898/1970, c.d. legge sul divorzio, rimasta immutata per circa 30 anni, oltre a oltre ad aver ridotto i tempi della separazione, sia giudiziale che consensuale, sono intervenute sullo scioglimento della comunione dei beni tra coniugi“, spiega.
Partiamo con l’analisi delle tempistiche: “In luogo dei tre anni prima previsti, ora infatti, in caso di separazione giudiziale, basta 1 anno per porre fine al matrimonio. Il termine decorre sempre dalla comparsa dei coniugi innanzi al presidente del Tribunale nella procedura di separazione personale. Rimane fermo, inoltre, il requisito della mancata interruzione: la separazione deve essersi ‘protratta ininterrottamente’ e l’eventuale sospensione deve essere eccepita dalla parte convenuta”.
“Il termine di un anno si riduce, ulteriormente, a sei mesi, secondo il nuovo testo dell’art. 3 lett. b), n. 2 della l. n. 898/1970, nelle separazioni consensuali. Ciò avverrà indipendentemente dalla presenza o meno di figli e anche se le separazioni erano nate inizialmente come contenziose“, aggiunge.
Scioglimento della comunione tra i coniugi
L’art. 2 della l. n. 55/2015 aggiunge un comma all’art. 191 c.c. anticipando il momento dello scioglimento della comunione tra i coniugi: “Lo stesso era precedentemente previsto con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione, nel 2015 è stato anticipato al momento in cui il presidente del Tribunale, all’udienza di comparizione, detta ‘udienza presidenziale’ autorizza la coppia a vivere separata, per le separazioni giudiziali, ovvero alla data di sottoscrizione del verbale di separazione omologata, per le consensuali”.
Inoltre: “L’ordinanza, con la quale i coniugi vengono autorizzati a vivere separati deve essere inviata all’ufficiale dello stato civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione dei beni sull’atto di matrimonio. Il giudizio viene instaurato attraverso il deposito in cancelleria di un ricorso, specificamente chiamato ‘ricorso per lo scioglimento del matrimonio’ o ‘ricorso per la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario’“.
Anche con la riforma resta ferma la distinzione tra divorzio giudiziale e divorzio congiunto. Nello specifico: “Il primo si propone con ricorso al Tribunale del luogo dove il convenuto ha residenza o domicilio, quando non c’è accordo sulle condizioni; in questo caso il ricorso può essere presentato anche da un solo coniuge“.
Ancora: “Il ricorso del secondo, invece, si propone al Tribunale del luogo di residenza di uno dei coniugi, quando c’è accordo dei coniugi su tutte le condizioni. In questo caso il ricorso ha contenuto univoco ed è presentato congiuntamente da entrambi i coniugi. In tale ipotesi è ammessa la difesa di un avvocato anche comune per entrambi i coniugi“.
Divorzio lampo o diretto
Ed è nel 2021, a distanza di 16 anni, che si tenta di compiere un passo in più. Il 3 maggio di quest’anno, infatti, il Movimento Cinque Stelle ha presentato alla Camera un progetto di legge per chiedere di accelerare ulteriormente i tempi del divorzio, attraverso l’introduzione in Italia del “divorzio diretto“.
“Dopo il divorzio breve, per interrompere il matrimonio non sarebbe dunque più necessario il primo step della separazione. In questo modo si arriverebbe più rapidamente allo scioglimento del vincolo nuziale e non sarebbe più necessario attendere i 12 mesi che servono per la separazione giudiziale o i 6 mesi della separazione consensuale“, precisa l’avvocato.
Quali sono le differenze col divorzio breve?
“Se il divorzio lampo ha come obiettivo quello di accelerare i tempi superando la fase della separazione, diverso è il divorzio breve, il quale si è limitato a ridurre da 3 anni a 6 o 12 mesi (a seconda dei casi) il tempo di separazione necessario per poter poi chiedere il divorzio“, specifica Chiara Catania.
E infatti: “La legge attualmente in vigore prevede che per le richieste di divorzio ‘consensuale’, ossia con un accordo dei coniugi davanti al presidente del Tribunale che deve essere omologato dal giudice, devono essere decorsi 6 mesi dalla comparizione dei coniugi all’udienza presidenziale, mentre per il divorzio giudiziale, dunque in contraddittorio tra le parti, e quindi con una vera e propria causa, con ricorso al giudice, è richiesta la decorrenza del termine di un anno“.
Articoli di riferimento
Gli articoli di riferimento, introdotti dall’art.1 della proposta di legge sono due: l’art. 3-bis e 3-ter della legge n. 898 del 1970. Tali disposizioni prevedono la possibilità per i coniugi di avvalersi dello strumento del divorzio diretto o immediato, dunque di bypassare la fase della separazione legale sancita da un provvedimento giurisdizionale, solo in presenza di alcune condizioni.
L’avvocato: “La prima ipotesi di cui all’art. 3-bis prevede la possibilità di ottenere il divorzio immediato a condizione che la domanda di scioglimento venga inoltrata da entrambi i coniugi, quindi ‘congiuntamente’, e che non vi siano figli minori, figli maggiorenni incapaci o disabili gravi. Quindi va proposta un’istanza congiunta da entrambi i coniugi specificando tali requisiti legati alla prole“.
“Con la seconda ipotesi, di cui all’articolo 3-ter, il divorzio immediato si può conseguire, previa domanda congiunta dei coniugi o su ricorso di uno dei due, anche in presenza di prole di minore età o di figli maggiorenni incapaci o disabili gravi, ma solo a condizione che, ‘dopo la celebrazione del matrimonio, sono intervenute circostanze oggettive tali da impedire il mantenimento o la ricostituzione della comunione spirituale e materiale tra i coniugi o la riconciliazione tra gli stessi ovvero tali da recare grave pregiudizio all’integrità fisica e psichica dell’altro coniuge o della prole’“, continua.
Costi, vantaggi e svantaggi
Sicuramente i procedimenti verranno ampiamente chiariti e meglio specificati in una fase successiva. Al momento, “da quanto si evince dal tenore letterale dell’art.3-bis della legge n. 898/1970, si tratterebbe, in assenza di figli, di adottare un accordo e dunque di una sorta di fase consensuale, diversamente dall’ipotesi prevista dall’art.3-ter, il quale introdurrebbe una fase giudiziale, dunque l’instaurazione di un vero e proprio giudizio in contradditorio su ricorso congiunto dei coniugi o su ricorso di un solo coniuge, ma solo laddove sussistendo le condizioni espressamente previste“.
In termini di vantaggi è certo che “la riduzione delle tempistiche dei procedimenti comporterà di conseguenza un minor dispendio anche in termini economici in capo ai coniugi, abbattendosi così i costi che diversamente si dovrebbero sostenere in presenza di più fasi del giudizio“.
“D’altro canto, è anche vero che l’abbreviazione dei tempi di divorzio sulla base di una procedura ‘lampo’ rischierebbe di scalfire il senso di famiglia e di compromettere l’istituto stesso della stessa, così come è anche vero che i tempi lunghi dello scioglimento del matrimonio alimenterebbero ancor più il conflitto tra i coniugi, oltre a comportare un dispendio di denaro e di tempo. Quindi sono ben evidenti gli annessi pro e contro di una eventuale procedura lampo“, precisa.
Perché è stato introdotto il divorzio lampo?
Come è spiegato nella stessa premessa della proposta di legge, “la necessità della riforma sarebbe dettata proprio dall’esigenza di risolvere le problematiche sorte con l’introduzione del divorzio breve“.
“In Italia ricordiamo che attualmente non è previsto il divorzio immediato, nemmeno se contenuto in un accordo di negoziazione assistita, ossia la convenzione stipulata in presenza di almeno un avvocato per parte con cui si possono risolvere bonariamente procedimenti per separazione personale“, sottolinea.
“È chiaro che se il divorzio diretto dovesse entrare in vigore in Italia, si accorcerebbero notevolmente i tempi per lo scioglimento del vincolo matrimoniale, senza dover attendere i 12 mesi che servono per la separazione giudiziale o i 6 mesi della separazione consensuale“, ribadisce.
Ultime novità governative
Sempre in tema di diritto di famiglia, di snellimento e maggiore efficienza delle procedure, l’avvocato Chiara Catania ci ha segnalato una importante novità dell’attuale governo, il quale, con il supporto dei finanziamenti dell’UE del Recovery Fund, come previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, sarebbe pronto a riformare nuovamente il processo civile al fine di consentirne una maggiore semplificazione.
“L’intento non è solo quello di rimediare ai ritardi processuali, ma si vuole altresì snellire l’arretrato presente nelle aule di Tribunale, soprattutto dopo un anno di blocco, come quello appena vissuto in pandemia“, sostiene.
Strumenti alternativi di risoluzione delle controversie
La riforma sarebbe volta a intensificare gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie conferendo più potere agli arbitri, mediazione e negoziazione assistita.
L’avvocato Chiara Catania sul punto: “Di notevole interesse è proprio la novità che la negoziazione assistita verrebbe estesa anche alle crisi della famiglia non matrimoniale, venendosi così ad eliminare l’illegittima disparità di trattamento nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio“.
E ancora: “In materia familiare, si ipotizza l’introduzione di un unico rito per le separazioni e i divorzi nonché per l’affidamento e il mantenimento dei figli nati al di fuori del matrimonio. Ciò con l’obiettivo di risolvere il problema legato alla compresenza di organi giudiziari diversi“.
Sguardo al futuro
“È chiaro che l’idea di un rito univoco per separazioni, divorzi e affidamento figli, semplifica e velocizza le tempistiche, prevedendo una maggiore collaborazione tra giudice e difensori, altresì la maggiore digitalizzazione del processo di primo grado e dei gradi successivi, attraverso le udienze da remoto e la cd. trattazione scritta o cartolare, che in quest’ultimo anno di pandemia ha caratterizzato l’attività giudiziaria e dei difensori, contribuisce a snellire i procedimenti e a ridurre le lungaggini processuali“, aggiunge.
“È evidente che, cavalcando la scia delle precedenti riforme, si intende continuare a seguire l’evoluzione sociale e demografica del nostro Paese, consentendo di modificare profondamente il corso di vita delle coppie e dei figli, in tempi brevi“, conclude l’avvocato.