ITALIA – “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. È questo l’articolo 1 della Costituzione italiana: il più citato, il più amato, il più studiato.
Chi non lo conosce? Ripetuto a memoria in ogni occasione da buona parte dei cittadini italiani, è uno degli articoli più belli e carichi di significato della Costituzione dell’Italia repubblicana. Nel giorno della Festa dei Lavoratori, che ricorre l’1 maggio, questo articolo è fondamentale da ricordare. E lo è soprattutto se si considera il difficile contesto attuale, dominato dall’emergenza Covid e dalla crisi economica e sociale che ne deriva.
Il lavoro per tanti non è più una garanzia, è inutile negarlo. La situazione non era idilliaca prima del triste 2020 e non lo è nel 2021. L’Italia, però, continua ad assegnare un valore imprescindibile al lavoro, alla fatica che permette di guadagnare la stabilità, la pace interiore, la sussistenza…
Si sa, la Costituzione italiana è il frutto nato dalla fine della dittatura fascista e della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1947, quando fu promulgata, rappresentava il simbolo di un Paese riuscito a risorgere a nuova vita, a riprendere in mano le redini del proprio destino, a ricostruire quello che ormai appariva distrutto. Il valore assegnato a quel popolo che in buona parte aveva giocato un ruolo nella Resistenza, a quel lavoro che aveva portato al successo e a quella ricostruzione storica in atto era immenso.
Dalla forza di questo valore, dalla consapevolezza di quelli che sarebbero diventati i princìpi fondamentali della Repubblica e da quel referendum del 2 giugno 1946 che cambiò la storia dello Stivale nasce la Costituzione italiana, un documento che porta le firme di alcuni tra più illustri intellettuali e statisti del tempo e che ancora oggi è il documento emblema di un Paese che cerca in ogni modo di sopravvivere alle difficoltà.
La Costituzione entrò in vigore nel 1948 e da allora ha “vissuto” da protagonista alti e bassi della storia italiana. Eppure, i primi 12 articoli della Legge nazionale, che ne costituiscono i princìpi fondamentali, non sono mai stati messi in discussione, nemmeno nei momenti storici peggiori dove, tra disoccupazione alle stelle e sopravvivenza economica sempre più in bilico, almeno il primo articolo tendenzialmente suscita più di un dibattito. Nonostante tutto, l’articolo 1 conserva un significato tale da essere elevato quasi allo status di articolo “sacro” e inattaccabile.
Il primo articolo della Costituzione italiana definisce la nuova forma statale dopo il referendum del 2 giugno: con la nuova Legge, l’Italia cessò di essere una monarchia e si trasformò in una Repubblica. Significativo è il fatto che sia stato il popolo a determinare questo epocale cambiamento (nonostante le percentuali di voto per le due opzioni in gioco non fossero poi così distanti, secondo fonti storiche). Il mettere il potere nelle mani della popolazione italiana, dopo un ventennio di dittatura, era un atto simbolico per i fondatori del nuovo Stato. Da quel momento emergeva l’idea del popolo sovrano, limitato nella sua azione solo da quel documento che mirava a guidare il momento della rinascita: la Costituzione.
Il passaggio più interessante è quello iniziale: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Proprio lavoro è la parola chiave (inizialmente si era proposto di inserire “lavoratori”, ma si preferì la nozione più “astratta” e generale a una “categoria” precisa e circoscritta di cittadini).
Cosa significa lavoro e perché si dovrebbe mettere a fondamento di un documento legislativo che regola la vita di una nazione come l’Italia? Il lavoro è dignità, operosità, utilità sociale, benessere personale… È tutto ciò che aiuta a definire una persona, ogni attività fisica e mentale che vede protagonista il cittadino e le interazioni che instaura con il proprio territorio e la società in cui si inserisce. Non è esclusivamente il lavoro retribuito, quello che è fondamentale per sopravvivere, ma è anche il lavoro svolto a casa, il volontariato e tutta una serie di attività fondanti ma spesso poco riconosciute. In un Paese appena uscito dalla guerra, diviso da differenze sociali e territoriali non indifferenti, con tanti cittadini che avevano perso tutto, l’operosità era probabilmente ciò che serviva garantire più di ogni altra cosa.
Questo è anche il motivo per il quale nel tempo si sono moltiplicate le associazioni impegnate nella promozione del lavoro, della tutela e della sicurezza di tutte le categorie di lavoratori, senza differenze classiste (o, almeno, così dovrebbe essere), ma anche e soprattutto di chi desidera lavorare ma non trova quel che cerca o non vede riconosciuto il risultato del proprio lavoro.
Se è vero che non in tutti i periodi storici l’accesso agli impieghi è garantito o paritario per categorie diverse (e, da questo punto di vista, nel giorno dell’1 maggio probabilmente c’è ancora poco da celebrare e molto da fare), la parola “lavoro” ha continuato a essere il focus principale di ogni autorità statale e di ogni cittadino che crede ancora nei valori fondamentali del Paese italiano.
Fonte immagine: Miolegale.it
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