ITALIA – Il fenomeno della disoccupazione giovanile si sta diffondendo a macchia d’olio su tutta la penisola italiana. Stipendi bassi, condizioni lavorative non ottimali, sfruttamento sul lavoro sono solo alcuni dei tanti fattori che incidono su questo argomento divenuto preponderante anche in altre parti d’Europa.
Serve maggior impegno e azioni risolutive anche per quanto concerne il fenomeno della dispersione scolastica. Ai giorni d’oggi sono molti i giovani che non se la sentono di proseguire il proprio percorso di studi per motivi posizionabili in un range così composto: problemi socio-economici, mancanza di supporto familiare, bullismo e mancanza di connessione con il mondo reale che porterà il ragazzo ad una condizione di isolamento dal resto della società con scarse prospettive future.
La situazione in Italia
L’Italia ha registrato un leggero miglioramento ma si è ancora posizionata al penultimo posto secondo i dati di Eurostat 2022 riguardo al numero di NEET (giovani che non sono impegnati in istruzione, lavoro o formazione). Il 19% delle persone tra i 15 e i 29 anni in Italia non lavora, non studia e non segue un percorso di formazione.
Questo rappresenta il dato peggiore in Europa per quanto riguarda gli uomini, con il 17,7%, mentre per le donne si piazza al penultimo posto con il 20,5%.
Solo la Romania è riuscita a fare peggio dell’Italia, con il 19,8% di giovani inattivi totali. In Romania, il dato femminile è particolarmente alto, con il 25,4%, ovvero più di una giovane donna su quattro che non è coinvolta in percorsi formativi o lavorativi. Tuttavia, il dato maschile è migliore, con il 14,5%.
In Europa invece?
Secondo le linee guida europee, l’obiettivo per il 2030 è ridurre la percentuale di giovani NEET al 9%. Attualmente, solo un terzo dei paesi ha raggiunto questo obiettivo, tra cui Paesi Bassi (miglior risultato con il 4,2%), Svezia (5,7%), Malta (7,2%), Lussemburgo (7,4%), Danimarca (7,9%), Portogallo (8,4%), Slovenia (8,5%), Germania (8,6%) e Irlanda (8,7%).
Analizzando i dati italiani nel dettaglio, emerge una netta divisione tra il Nord e il Sud del paese. Le regioni con il tasso più alto si trovano tutte al Sud, con la Sicilia in testa (30,2%), seguita da Campania (29,7%) e Calabria (28,2%). Solo la provincia autonoma di Bolzano si avvicina alla media richiesta dall’Unione Europea, con il 10,5%.
Le 2 problematiche dei NEET in Italia
Il problema dei NEET in Italia è principalmente dovuto a due fattori: l’abbandono scolastico e le difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro.
Per quanto riguarda l’abbandono scolastico, il 12,7% dei giovani italiani interrompe gli studi durante le scuole superiori, fermandosi al titolo di studio della licenza media, che non è adeguato al mercato del lavoro attuale.
Le difficoltà nell’inserimento lavorativo sono evidenziate anche dalla percentuale di lavoratori che svolgono un lavoro per il quale hanno una qualifica superiore a quella richiesta: il 26% degli occupati in Italia è più qualificato per il proprio ruolo.
I dati ISTAT in Sicilia
Secondo i dati dell’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica), la Sicilia è una delle regioni con un tasso di disoccupazione medio relativamente elevato, analizzando la fascia di età compresa tra i 15 e i 74 anni.
Nel 2021, il tasso di disoccupazione in Sicilia è stato superiore anche alla media delle regioni del Sud Italia insulare, raggiungendo il 18,7%.
Tuttavia, nel 2022 si è registrato un leggero calo, con un tasso di disoccupazione del 16,6%. In ogni caso, la Sicilia rimane una delle regioni con una disoccupazione relativamente alta, con solo la Campania che presenta un dato più elevato.
Le università e il problema CFU
Alla base di questa piramide discendente vanno considerate varie situazioni, avvalorate dal fatt0 che in ambito lavorativo e studentesco esistono delle soluzioni che tardano ad essere attuate.
Lo studio universitario in Italia, per molti divenuto quasi una tragedia, necessita di un intenso restyling in alcuni dipartimenti. Diverse facoltà sono a numero chiuso, gli spostamenti giocano un ruolo cruciale nell’ambito appena descritto in virtù degli innumerevoli studenti fuori sede e un altro chiaro riferimento andrebbe fatto ai CFU (crediti) per ogni materia, spesso distribuiti in maniera non consona all’impegno che ne comporta.