“Giuditta e il monsù” di Costanza DiQuattro

“Giuditta e il monsù” di Costanza DiQuattro

L’ordine dei sensi puro, compagno di culla, a volte sceglie di cambiare la direzione per conto di una brezza che soffia sullo spirito nobile. È quel che accade a Palazzo Chiaramonte, anno 1884, Ibla. Un vagito ancora in fasce bussa alla porta della nobile dimora del marchese Romualdo, uomo d’azione unicamente sgorgata nel giardino intimo e privato, padre di quattro figlie (Amalia, Ada, Rosalia e Giuditta), profondamente deluso ad ogni primo vagito delle sue piccole femmine, “tutte femmine, infinitamente femmine, tragicamente femmine” , lascia che il giorno e la notte compiano i loro turni a ciclo continuo senza proferire osservazioni sulle consuetudini del creato.

Il miracolo di sangue estraneo, maschio, si chiamerà Fortunato, presto sarà affidato al Monsù Don Nicola e alla moglie Donna Marianna, due nobili di cuore ma di limitata posizione sociale, a servizio del marchese Chiaramonte. Fortunato è un bambino bellissimo dai capelli biondi e gli occhi azzurri, un perspicace segugio dei suoi genitori adottivi occupati nella preparazione di ricette tramandate da generazioni perdute nei secoli. Di anno in anno, Palazzo Chiaramonte assiste da testimone indolente agli eventi chiaroscuri della nobiltà gravata da pericolose mine.

Il marchese Romualdo cede con immenso strazio alla volontà della figlia Ada di darsi in sposa a Nostro Signore, quel viso di porcellana coperto da un velo verginale entrerà in convento per non uscirne mai più. Il dramma religioso è penetrato nel Palazzo lasciando dietro di sé un padre impietrito dal dolore somigliante al ritratto di una cornice mistica.

La figlia Amalia giurerà davanti a Dio amore fedele a un cugino molto più grande di lei, negli anni la sacra benedizione nuziale resterà sterile di una nuova generazione. Circostanza unita all’infelicità velata della fresca sposa, finirà per generare forti dubbi sulla validità di un matrimonio forse mai consumato. L’album di famiglia in piena attività acquisitiva di eventi più o meno felici, si permette un giro di valzer cristallino con la figura letteraria di Giuditta, quarta e ultima figlia del marchese Romualdo Chiaramonte. Giuditta ha una personalità indipendente, lo studio la distrae dai suoi interessi di popolare estrazione, è portavoce di passioni in contrasto con i privilegi della sua elevata condizione sociale. L’ infanzia ha composto per lei un concerto a due voci sotto lo stesso tetto di Fortunato, da tempo una comunione di affinità silenti si nasconde sotto il quaderno di ricette del giovane monsù.

Con la complicità di due ingredienti essenziali alla preparazione di un dolce preludio d’amore, l’impasto veniva amalgamato attraverso sguardi furtivi, carezze lasciate a metà a causa di un’ombra indiscreta in cucina. Nel paradiso tutto profumi, odori, sapori, i riti quotidiani venivano addolciti da baci rubati ad una tazzina di amara fretta.

L’innocente passione accelerava i fumi di un rigido ordinamento (metà fantasma, metà nobiliare) secondo cui la figlia del marchese Romualdo Chiaramonte era e sarebbe rimasta per sempre piatto proibito alle labbra del figlio adottivo di un monsù.

Qui la penna recensiva mette a riposo l’inchiostro per impedirgli di scorrere loquace nella storia d’amore tra Giuditta e Fortunato, mentre una fresca vena d’acqua corre incontro alla foce del dissenso. Alle soglie della prima guerra mondiale, ogni sorriso raddoppia il gaudio incaricato di trarre in inganno il fiore pronto a cadere ai piedi del nemico.

Si scopre medicina miracolosa la rotazione delle stagioni in pena per l’equilibrio fisico e psicologico di Giuditta, perla di mare dolce quanto i ricordi ricamati nel suo velo nuziale.

“Il tempo non si ferma mai sulla felicità. Ci vola sopra, come uno sparviero fa con la preda. Aleggia come un fantasma nelle pieghe disfatte dell’allegria. Ed è proprio quando ci si dimentica della sua petulante presenza che i suoi rintocchi diventano assordanti”.

La realtà di Ibla si considera isola a parte, lontana dai ritmi serrati fuori dal suo paradiso allenato all’ordine, alla lentezza, come vuole la rispettosa deferenza verso le tradizioni immacolate. Così nasce il romanzo, nella culla pronta ad accogliere un ben definito percorso storico ricoperto da un velo sotto il quale nascono, crescono e fioriscono bouquet di respiri tenuti in vita da venti di parte. Teatro a cielo aperto la campagna assolata, dove il fiore di zagara fa incetta di energia naturale per affrettare la maturazione delle succose pepite d’oro. Quando arriverà il tempo della raccolta, la mano dell’uomo svuoterà gli alberi carichi di sole a spicchi lasciando tracce di malinconia nel verde nudo, affidato alla ragione del cielo.

Credit Pinterest

Narrativa di stile quella della scrittrice Costanza DiQuattro, una produzione letteraria con lode conta raffinate pubblicazioni come “Arrocco siciliano” nel 2022, “Donnafugata” nel 2020, “La mia casa di Montalbano” nel 2019. Per il teatro ha scritto “Barbablù“, “La flanerie tra Bellini e Wagner” e “Parlami d’amore“.

Ultimo nato “La baronessa di Carini. Gita in Sicilia“. Un libro “Young Adult” con pagine di suspance durante una visita al castello dove nel 1563 fu uccisa Laura Lanza, baronessa di Carini.

sara