Dipendenza dai videogames, nel 2018 diventa una vera e propria malattia

Dipendenza dai videogames, nel 2018 diventa una vera e propria malattia

CATANIA – Oggi giorno molti ragazzi e ragazze trascorrono il loro tempo libero davanti al telefonino, al computer o alla playstation. Di pomeriggio sono chiusi dentro casa e sembrano essersi teletrasportati in un’altra realtà. I genitori talvolta viziano i propri figli comprandogli giochi e videogames, ma non si rendono conto che, forse, sono loro una delle cause che portano i ragazzi a diventare dei veri dipendenti da videogames.

I videogames sono studiati per creare dipendenza – afferma il dottor Gianni Nardelli, psicologo catanese si tratta di una questione di denaro, come la Coca Cola. In alcuni giochi, ad esempio, c’è un piccolo trucco che fa da capestro: i livelli non si possono salvare e il giocatore è costretto a terminarlo. Inoltre sei sottoposto ad un bombardamento sensoriale pazzesco che sviluppa tanta adrenalina da creare dipendenza“.

Questi piccoli “trucchi” sembrano essere tanto efficaci che l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) avrebbe deciso di inserire la dipendenza dai videogiochi tra le patologie e le malattie mentali dell’elenco della “International Classification of Diseases”, la lista delle patologie riconosciute che verrà aggiornata quest’anno.

Questo non significa che chiunque giochi ai videogames sia dipendente da essi, come non tutti quelli che bevono sono alcolizzati. Per distinguere un semplice giocatore “nerd” da chi soffre di dipendenza, basta osservare semplici atteggiamenti o comportamenti che non sono altro che sintomi della malattia mentale.

I soggetti passano troppo tempo a giocare a scapito della vita sociale – spiega il dottor Nardelli – hanno un pessimo rendimento scolastico, spesso soffrono di insonnia più o meno grave, anche perché giocano fino a tardi e di mattina alcuni dormono in classe, e infine vi è una grave mancanza di concentrazione“.

Cosa si dovrebbe fare per evitare che un semplice gioco diventi quasi una droga? Il metodo migliore ed efficace non è di certo proibire, bensì regolamentare. Ma cosa si intende con regolamentare?

Qualsiasi gioco va regolamentato fin da piccoli in modo da insegnare ai nostri figli la prima assunzione di responsabilità, che sarà determinante nella loro vita adulta – continua Nardelli -. Se non sei capace di mettere ‘un paletto’, il dubbio che tu non sia capace di metterlo nemmeno a te stesso è lecito. Dire ‘NO’ è l’atto d’amore più importante è faticoso per un genitore, ma assolutamente indispensabile alla crescita del proprio figlio”.

Soprattutto i ragazzi delle ultime generazioni sono stati abituati prevalentemente ad essere “viziati” e quando ricevono un ‘No’ dai genitori non la prendono bene. Tuttavia, se piano piano i genitori imparassero a dirlo più spesso, in futuro i propri figli li amerebbero.

“Sono i nostri figli che hanno bisogno di regole per vivere tranquilli. Trasgredendo la regola (es. mio papà ha detto di smettere alle 11, smetterò alle 11.10) i ragazzi si assumono la piena responsabilità, segno di crescita – conclude -. Serve loro per conquistare l’indipendenza, spostando di un pochino quel paletto, ogni volta che c’è”.