CATANIA – Sono lacrime autentiche quelle che gonfiano gli occhi di non pochi tifosi rossazzurri, irrorandone i bulbi divenuti rossi per la rabbia, e vi possiamo garantire che non sono i soli a provare questo umanissimo, sincero, sentimento per ciò che da ieri non c’è più. Lacrime vere, nessuna finzione, singhiozzi smorzati con titanica fatica.
Serve a poco: è il denaro che muove il mondo, vero, ma sono i sentimenti a dare senso e spessore a ciò che ci circonda. Un classico quello “dell’avere o essere”, due stili di vita sempre in combutta tra loro, uno che prova a prevaricare l’altro, quando c’è il punto d’incontro tra i due hai 75 anni di storia, oppure, all’incontrario, il nulla. Nel primo caso Massimino & Marcoccio docet, il secondo è sotto gli occhi di tutti. Così è finita nel peggiore dei modi, è finita come sapevamo ma non speravamo, è finita perché chi poteva invertire la rotta poco importava che finisse così.
Un destino scritto da cuori arsi dall’avidità che hanno nutrito l’aridità di uno spirito gestionale racchiuso, in maniera tetragona, tra supponenza, alterigia, istrionica presenza, pressappochismo e incompetenza: l’ordine non è casuale. Tutti deprecabili atteggiamenti supportati da un anacronistico egocentrismo fuori, in maniera asincrona, dall’odierno, reticolare, contesto storico.
In troppi hanno giocato a dadi con un pezzo di cuore di questa città, uno dei più importanti, ne hanno strappato e diviso le vesti dopo averne obnubilato senso critico e capacità di replica, intorpidito passione e fierezza, anestetizzato voglia di fare e di esserci o almeno ci hanno provato a volte riuscendoci, a volte meno. Abbandonati al proprio destino, finalmente liberi da timori reverenziali, melliflua merce di scambio per un selfie/intervista da sostanzioso clickbait, da ieri pomeriggio una città è in rivolta sui social, troppo tardi per comprendere solo adesso che indietro non si torna, e in avanti non si sa cosa ci aspetta. Così come tardiva, e retoricamente inutile, la replica delle istituzioni cittadine, a volte meglio il silenzio.
Di contro, ci lascia una squadra, allenatore e direttore dell’area sportiva in primis, che è rientrata di diritto e di fatto nella prima categoria delle famose cinque di sciasciana memoria, l’ultima, da ieri, è ancora più affollata. Adesso che tutto è stato detto, ma proprio tutto, e dopo aver ridistribuito colpe e responsabilità con il bilancino dell’orefice, rimane uno zero in classifica che ci umilia, ci schiaccia, appiattendoci cuori e tradizione, uno zero dove dovremmo far rientrare tutti i fallimenti ammonticchiati stagione dopo stagione, uno zero che ci rimanda la giusta misura del valore della città che conta o almeno quella che crede di contare.
Meglio le lacrime sincere da vero tifoso piuttosto che farne parte. E abbiamo anche dato una mano in classifica ai cugini palermitani e ai tifosi messinesi: beh, quando è troppo è troppo… fosse anche uno zero.
Foto di repertorio