Teatro Minimo Tovini: la morale (in… musica) del Malandrino conquista l’Ambasciatori

Teatro Minimo Tovini: la morale (in… musica) del Malandrino conquista l’Ambasciatori

CATANIA – Sabato e domenica scorsi un divertito pubblico ha assistito a uno spettacolo dalle numerose sfaccettature come “Il Malandrino”, lavoro teatrale andato in scena all’Ambasciatori per il quinto appuntamento della rassegna dell’Associazione “Ridi che ti passa”, grazie alla storica compagnia del
Teatro Minimo Tovini. Potremmo definirlo quasi un musical o poco c’è mancato davvero che lo fosse per le numerose canzoni a tema con il dispiegarsi lineare, magari semplice ma gradevole, di una trama intinta in un’ammiccante ironia e con una morale finale che è piaciuta e che ha catturato lo spettatore sin da subito per condurlo in una e una sola direzione: ognuno nella vita dovrebbe giocare sempre il ruolo che gli compete. Morale antica, ma di una attualità disarmante che ha fatto da leitmotiv a un lavoro non di semplice realizzazione suddiviso in tre atti per due ore di spettacolo con undici attori e… udite, udite: con musica dal vivo grazie al maestro Gino Arena alla tastiera, Carmelo Alizzo al basso e Damiano Alizzio alla batteria.

Sul palco, possiamo affermare che si sono mossi bene tutti con ruoli cuciti addosso da quella “sarta” di Linda Musumeci con la sua regia. Così, ci si ritrova con “Il Malandrino” (Nino Cassisi) che fin da subito si presenta per ciò che effettivamente è: una brava persona che solo il caso e la paura lo ha costretto a recitare ciò che effettivamente non è. Centrato pure il ruolo del vero malandrino Peppino Ferrante (Tino Sorge) che mostra la sua personalità da uomo tutto di un pezzo che ottiene sempre ciò che vuole: con le buone e spesso con le cattive. E non hanno tradito le attese nemmeno i quattro “scagnozzi” che ruotavano intorno ai due malandrini come Cosimu (Giuseppe Carpentiere), Turi Maccu (Enzo Nicotra), Pippu peri fraciti (Filippo Fichera), Ciccio (Guglielmo Gravino) o Carru il barbiere (Orazio Grisalva) nel ruolo di corrotto e corruttore. E poi lei, la sciantosa, Lilly Dorè (Mariella Aurite) e il suo amico Pietrino Donzelli (Santi Condorelli) che hanno innescato, per colpa di una gelosia d’altri tempi, il casus belli della vicenda. Bene anche chi ha recitato un ruolo cosiddetto minore come la maschera (Gregorio Nastasi) tirando fuori il meglio di sé (botte subite comprese).

Infine, le canzoni, tante, alcune famose, altre meno, ma in ogni caso adattate al contesto incastrandosi come tasselli di un puzzle tutto in divenire. Di certo c’è stato tanto lavoro dietro le quinte per far cantare tutti a livelli accettabili/buoni. Rilevante nota a margine: messa a tacere l’afona voce della retorica, obnubilata una melliflua piaggeria e afferendo a una nobile sincerità, un discorso a parte merita Linda Musumeci, stavolta nel ruolo di Angela (moglie del Malandrino), difatti, i suoi ingressi sono stati sempre iperbolici, fuori dagli schemi, “aggressivi” in giusta misura afferendo alla (sana) rabbia repressa che ha fatto deflagrare nella sua recitazione, canto compreso.

Ad ogni battuta rispecchiava una voglia soffocata da tre anni di buio totale, a ogni movenza sgorgava, come un fiume carsico, un desiderio sedimentato, ma mai sopito, di poter ritornare a calcare quel palco che tanto dona ma tanto ti chiede in una osmotica relazione di emozioni dove, però, ciò che si riceve è sempre superiore a ciò che si dà: tutto ciò è successo in questi due giorni e le lacrime finali di Linda sono veritiera espressione di quel potere taumaturgico che solo un’arte come il teatro può donarti. Anche questi possiamo annoverarli ai danni collaterali da Covid, un motivo in più per esserci nuovamente e mostrarsi più “Malandrino” di lui. Così doveva essere e così è stato.