CATANIA – Il 6 giugno abbiamo assistito all’Antigone della compagnia teatrale Néon (in programma anche il 7 giugno alle 20,30), regia di Monica Felloni (aiuto regia di Manuela Partanni, rielaborazione testo della prof.ssa Francesca De Santis), interpreti una classe di un Pon del Liceo Classico “Nicola Spedalieri” di Catania, nella suggestiva cornice del cortile dell’Istituto Ardizzone Gioeni di Catania.
Fin dalla prima eco corale della tragedia di Sofocle, all’unisono in greco, riverberando il recitativo moderno e facendo assaporare suoni di un’epoca lontana, rimani avviluppato dalla vicenda e dimentico dell’assenza di una scenografia ed attori professionisti. Sì, perché in realtà una scenografia c’è, dinamica e mutevole, creata dai flussi degli attori che sembrano moltiplicarsi sulla scena, come flutti continui, dalle loro braccia/mani ramificazioni, foreste ed architetture, dalle loro chiome che sostituiscono veli e tendaggi, dalle loro gonne/pepli e al contempo colonnati…
Quest’ultimo elemento, in particolare, attira l’attenzione dello spettatore sfidandolo in una scelta di genere inusuale. Ci si chiede, infatti, quale sia il discrimine tra il personaggio femminile e quello maschile, ma non ve n’è alcuno: ruoli maschili come quello di Tiresia o di Emone sono affidati ad interpreti femminili. Ma ci rendiamo conto che questa convenzione è priva di rilevanza, come lo era l’uso di attori solo maschili nel mondo greco. Fondamentali, invece, sono le parole di sgomento del figlio di Creonte, nel vedere il padre monoliticamente arroccato su posizioni che lo perderanno, e di ammonizione del consigliere e sacerdote al ravvedimento.
Un altro dettaglio che ci ha attirato (perché il divino sta nei dettagli!) è la perfezione con cui è stata resa la ricerca del colpevole della sepoltura di Polinice. Una frotta di guardie/attori si è mossa sulla scena moltiplicando la propria presenza in un turbine, accentuato da una gestualità di un braccio vorticante, mimesi della velocità e forse della follia a cui questo reperimento li avrebbe condotti.
Ma l’ultimo aspetto che colpisce è forse lo scardinamento del testo di Sofocle (per il quale rendiamo merito alla prof.ssa De Santis), non tanto nel significato complessivo che rimane integro e immutato nei secoli (la lotta tra gli agrapta nomima, le leggi non scritte degli dei, e i kerygmata, gli editti degli uomini, ovvero modernamente tra la giustizia, vera ed etica, e la legge, non sempre ahinoi in equilibrio tra loro), quanto nell’assenza di veri protagonisti, di stelle isolate della tragedia.
Persino la nostra Antigone o Creonte sono un’armoniosa parte del tutto, una voce della polis, di un pensiero collettivo e corale, sotteso in ogni momento della messa in scena. Si elevano, infatti, coscienze anonime, fuoriuscendo dai flussi dei cittadini, guardie, ancelle, del demos, a comporre una realtà unitaria, senza soluzione di continuità. Ci invitano tutti alla consapevolezza che “chiave della felicità è la saggezza”, una condizione in cui le esigenze della collettività coesistano nell’accettazione delle molteplici visioni della vita.
Articolo redatto in collaborazione con Cinzia Di Mauro
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