In scena all’Ambasciatori le “Pazzii” di Pippo Barone tra risate, lacrime, morale e… sold out

In scena all’Ambasciatori le “Pazzii” di Pippo Barone tra risate, lacrime, morale e… sold out

CATANIA – Sabato 19 con replica domenica 20, è andata in scena la commedia “Pazzii”, secondo appuntamento della rassegna teatrale dell’Associazione “Ridi che ti passa”. Una storia vera, a tratti dolorosa come il più classico pugno nello stomaco, eppure si ride e non poco. No, non è una contraddizione, o forse lo è anche, per una commedia scritta da Pippo Barone, e sempre da lui diretta, che rappresenta uno spaccato di (drammatica) vita quotidiana, ma di quella dove la morale deve cedere il passo all’indigenza, pertanto una vicenda antica ma sempre attuale. E forse anche per questo è stata scritta.

La storia è un classico: una donna avvinghiata dalla morsa dei debiti, senza lavoro, con un bambino da crescere e con il marito in carcere, tenta di accedere in un mondo non suo come quello della prostituzione. E dopo un inizio in parte all’insegna della lentezza da “rodaggio” nel primo atto, la commedia ha assunto una crescente ritmica da cui si dipana una ramificazione di eventi sfaccettati tra la vita da “prendere a morsi” come una mela, la paura di farlo e il rischio che la stessa, questa nuova, ripugnante, vita, all’inverso fagociti te.

Così Pazzii diventa, per forza di cose, uno sciame di emozioni che nella loro diversità, a volte perfino diametralmente opposte, si sono intersecate, sovrapposte, inseguite, sincopatamente alternate tra risate e commozione, tra lacrime trattenute e irresistibile empatia con i personaggi: tutti.

Storia vera, dicevamo, che ha reso ancora più densa e articolata la sua messa in scena, con un Pippo Barone sempre più mattatore nel doppio ruolo del cliente e dell’altruista, quest’ultimo quanto più di anacronistico possa esserci nell’egocentrica società odierna, una dualità del personaggio che gli ha favorito di afferire al cuore del suo repertorio con battute alla… Barone.

In tutto questo suo sciorinare una lunga esperienza “multitasking”, ancora viva e vitale, è stato (ben) sostenuto dalla dolcezza della disperazione di Vera Basile nel ruolo di Giulia, mamma costretta, e mai pronta, a cedere la dignità del proprio corpo per la sopravvivenza dello stesso e di quello del figlio. Preponderante, quanto opportunisticamente “urlante”, la presenza scenica di Desirèe Ragusa nel ruolo di Ponzi Rosa, meretrice dai buoni consigli efficacemente epifanici. Ogni suo ingresso ha rimescolato, verso l’alto, tempi di recitazione e “attenzioni” da parte del pubblico: maschile in primis.

Delicata come la nostalgia del tempo andato e degli errori commessi, possibilmente da rimediare, la performance di Linda Musumeci nel ruolo di Amalia, maitresse per costrizione mutuata, nel tempo, in falsa convinzione della giusta scelta di vita.

Caustica, e sempre attuale, la filippica di Alfio marito di Giulia, interpretato da Giuseppe Carpentiere, su chi siano i veri delinquenti in questa società di un finto perbenismo. Quanta verità nelle sue parole ben recitate.

Ottima caratterizzazione quella dei due clienti dal tic facile e del medico tutto cuore, nell’ordine Massimo Ferrari, Marco Lombardo, Pippo Tomaselli, calati ognuno, come un guanto, nel proprio ruolo. La dolcezza dell’innocenza di Sean Gullotta, il bimbo nel ruolo di Mirko, hanno fatto il resto.

Una rappresentazione con un finale atteso e auspicato da tutti: trovare quella via di fuga perfino nel recente passato anche se la bontà e generosità di Nino rimarrà fine a sé stessa e, morale su morale, forse è anche più giusto che sia così, perché si dona per offrire e non in attesa di ricevere un compenso.

Ultima nota di cronaca mista a speranza: il sold out di domenica sera è stato la migliore risposta a quello tsunami chiamato Covid, pertanto è da questo “tutto esaurito” che bisognerà ricominciare, sul serio, a tornare in quel luogo immaginifico chiamato teatro.