CATANIA – Sì o no all’abolizione del PCTO? È questa la domanda che sorge spontanea a seguito della morte di Giuliano De Seta, lo studente di 18 anni, che qualche settimana fa ha perso la vita a Venezia durante uno stage, schiacciato da una lastra metallica dal peso di una tonnellata e mezzo.
Giuliano però non è l’unica vittima, infatti prima di lui sono morti altri due ragazzi, anch’essi deceduti nei mesi scorsi durante un’attività di alternanza scuola-lavoro.
Alla luce di quanto accaduto è naturale chiedersi se le attività di PCTO siano realmente un’opportunità per offrire ai giovani un primo approccio al mondo lavorativo oppure se si possa fare a meno di iniziative che fino a ora non hanno fatto altro – secondo molti – che mettere a repentaglio la vita dei liceali.
Una situazione insostenibile secondo studenti, docenti e genitori che da mesi alzano la voce nella speranza di essere ascoltati, affinché si trovi una soluzione alle morti bianche che stanno sconvolgendo l’intero Paese.
La voce degli studenti: sì o no al PCTO?
Questa volta a esprimersi sono proprio i coetanei di Giuliano, che hanno deciso di schierarsi a favore o contro l’abolizione del PCTO, da molti ritenuto un ostacolo piuttosto che una risorsa. Ai nostri microfoni sono intervenuti alcuni studenti liceali di Catania.
“Io penso che il PCTO – afferma Francesca – non debba essere eliminato perché secondo me proietta lo studente nel mondo del lavoro e magari può anche chiarire le sue intenzioni riguardo al futuro“.
“Sicuramente però – aggiunge – dovrebbero esserne cambiate le modalità. Prendendo spunto dalla mia esperienza personale, in diverse scuole vengono improvvisati dei PCTO che spesso non sono nemmeno coerenti con il proprio indirizzo di studi e che quindi non consentono alcuna maturazione dello studente, tantomeno lo sviluppo di competenze, che sarebbe l’obiettivo principale del PCTO“.
“Secondo me è giusto – conclude – che vengano effettuati stage e tirocini per far comprendere ai giovani il mondo del lavoro, ma bisognerebbe essere affiancati da una persona che faccia affrontare questo percorso in sicurezza e che possa anche esporre allo studente pro e contro del lavoro in questione, affinché l’esperienza sia formativa e non fine a se stessa“.
Molto chiare anche le idee di Francesco che si è espresso così: “Sono fortemente contrario alla continuazione del PCTO. In primis non rispetta il suo scopo iniziale: se l’alternanza scuola-lavoro nasceva per riuscire a inserire meglio i giovani nel mondo del lavoro e per dare loro una prospettiva più ampia delle possibili carriere, ormai non fa altro che aumentare il fenomeno già esistente della mano d’opera gratuita, sfruttamento giovanile e quindi ore di lavoro non pagate“.
“Ai ragazzi – prosegue lo studente – non vengono insegnate competenze utili per il futuro, anzi i giovani si ritrovano spesso a compiere attività pressoché inutili o semplicemente molto lunghe e impegnative per alleviare gli sforzi di stagisti, dottorandi e di tutti coloro a cui spetterebbero quelle mansioni“.
Per rendere più chiaro il suo punto di vista, il giovane ha anche fatto riferimento alla sua esperienza personale: “Molto spesso lo studente non si ritrova nemmeno nelle condizioni di scegliere il percorso di PCTO da intraprendere. Io e miei compagni ad esempio l’anno scorso siamo stati coinvolti in un percorso di alternanza scuola-lavoro che non ci interessava affatto“.
“Indubbiamente bisogna modificare l’assetto delle attività, trasformandole in corsi specifici a scelta dello studente. Per fare in modo che non si sottragga tempo alle lezioni – suggerisce – bisognerebbe presentarle come attività pomeridiane, facoltative, che non sarebbero volte esclusivamente all’esame di maturità, bensì all’arricchimento del proprio curriculum personale che consentirà agli studenti – conclude Francesco – di accedere all’università o a lavori specializzati“.
Anche Giulia si mostra in disaccordo con le attuali modalità di PCTO: “Penso che sia giusto aiutare gli studenti nella scelta di un futuro lavoro, per esempio attraverso ore di orientamento, ma che sia disumano considerarli già lavoratori, soprattutto se le strutture in questione non sono messe in sicurezza. A essere sbagliata – spiega – non è una singola legge, bensì una vera e propria concezione che ormai regna nella nostra società e secondo la quale vivere significa produrre. Gli studenti non vengono visti più come menti da formare, bensì solo come future ‘macchine’ da utilizzare per la produzione“.
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