Alessitimia, quando non sai dare un nome a quello che provi: l’intervista

Alessitimia, quando non sai dare un nome a quello che provi: l’intervista

“Non so cosa sto provando, ma qualcosa non va.” Per molte persone questa frase potrebbe sembrare strana, ma per chi vive con alessitimia è una realtà quotidiana. Si tratta di una condizione psicologica ancora poco conosciuta, ma sorprendentemente diffusa, che rende difficile riconoscere e descrivere le proprie emozioni.

L’alessitimia non è una mancanza di sentimenti, ma un’incapacità – spesso dolorosa – di comprenderli e comunicarli. Può condizionare le relazioni, alimentare l’isolamento e ostacolare il benessere emotivo.
In un’epoca in cui si parla tanto di intelligenza emotiva, questa difficoltà invisibile merita attenzione.

Per fare chiarezza sull’argomento, su come si riconosce e si affronta, è intervenuta ai microfoni di NewSicilia la Dott.ssa Valentina La Rosa: psicologa, psicoterapeuta, assegnista di ricerca e docente a contratto di Psicologia dello Sviluppo presso l’Università di Catania.

Conosciamo l’alessitimia: l’intervista

  • Che cos’è esattamente l’alessitimia? Come si definisce dal punto di vista psicologico?

“L’alessitimia è una marcata difficoltà nel riconoscere, nominare e descrivere le proprie emozioni. Dal punto di vista psicologico, non si tratta di un disturbo a sé stante, ma di una caratteristica della personalità che può accompagnare diversi quadri psicopatologici”.

“Le persone alessitimiche faticano a distinguere le emozioni dagli stati corporei (per esempio, ansia e tensione fisica) e tendono a presentare uno stile cognitivo orientato verso l’esterno, con poco spazio per la riflessione emotiva”.

“Il termine deriva dal greco e significa letteralmente “mancanza di parole per le emozioni“. Il termine è stato introdotto in ambito psicosomatico negli anni ’70 da Peter Sifneos per descrivere i pazienti che tendevano a somatizzare vissuti affettivi non elaborati”.

Qual è la differenza tra una persona emotivamente riservata e una persona alessitimica?

“Essere emotivamente riservati significa scegliere consapevolmente di non esprimere i propri vissuti interiori per motivi culturali, educativi o relazionali. L’alessitimia, invece, implica una vera e propria difficoltà strutturale nel riconoscere e comprendere le proprie emozioni, prima ancora che nell’esprimerle”.

“In altre parole, la persona alessitimica non è solo “chiusa” o “introversa”, ma spesso non sa cosa sta provando o confonde l’agitazione emotiva con i sintomi fisici. Questa differenza è fondamentale anche dal punto di vista terapeutico”.

Quali sono, secondo lei, le principali cause che possono portare allo sviluppo dell’alessitimia?

“Le cause dell’alessitimia sono molteplici. Una componente può essere neurobiologica e legata al funzionamento delle aree cerebrali coinvolte nella regolazione emotiva, come l’amigdala, l’insula e la corteccia prefrontale. Un’altra componente fondamentale è di tipo relazionale: crescere in un ambiente familiare in cui le emozioni non vengono riconosciute, validate o condivise può ostacolare lo sviluppo delle competenze emotive“.

“Anche le esperienze traumatiche precoci, come la trascuratezza o l’abuso, possono indurre la persona a “scollegarsi” dai propri stati affettivi come forma di difesa. Infine, alcune condizioni cliniche, come i disturbi dello spettro autistico o i disturbi di personalità, possono includere tratti alessitimici come parte del quadro sintomatologico”.

È vero che l’alessitimia è più comune negli uomini? Se sì, perché?

“Sì, numerosi studi indicano una maggiore prevalenza dell’alessitimia negli uomini, ma questo dato va interpretato con cautela. Una parte della spiegazione può essere biologica ma il fattore socioculturale gioca un ruolo cruciale. In molte culture, infatti, agli uomini è stato tradizionalmente insegnato a reprimere o a non dare valore all’espressione delle proprie emozioni, in particolare di quelle considerate “deboli“, come la tristezza, la paura o la vulnerabilità”.

“Questa educazione emotiva “selettiva” può ostacolare lo sviluppo della consapevolezza affettiva. Inoltre, gli uomini hanno meno occasioni sociali e relazionali in cui apprendere e praticare il linguaggio emotivo”.

In che modo uno psicologo può aiutare una persona alessitimica a sviluppare consapevolezza emotiva? Ci sono percorsi terapeutici specifici?

“Lo psicologo può intervenire con percorsi psicoterapeutici che mirano a sviluppare gradualmente la consapevolezza e l’espressione emotiva. A prescindere dall’orientamento psicoterapeutico specifico, un elemento chiave è la relazione terapeutica: uno spazio sicuro e non giudicante favorisce l’emergere di contenuti emotivi anche profondamente inibiti”.

“L’obiettivo non è “insegnare” le emozioni, ma riattivare i processi di riflessione e simbolizzazione che nel tempo si sono interrotti”.

C’è un rischio che l’alessitimia venga sottovalutata o confusa con altri disturbi?

“Assolutamente sì. L’alessitimia può essere facilmente confusa con i disturbi dell’umore, con la depressione, con l’apatia o con i quadri di tipo evitante. Inoltre, molte persone alessitimiche somatizzano il disagio emotivo e arrivano a consultare i medici per sintomi fisici ricorrenti senza che venga esplorata l’origine psicologica del loro malessere”.

“C’è anche il rischio opposto: in una società che enfatizza la trasparenza emotiva, le persone poco espressive vengono talvolta etichettate come “fredde” o “problematiche”, senza comprendere le reali difficoltà che possono celarsi dietro questa barriera”.

Viviamo in un’epoca in cui tutti parlano di emozioni: secondo lei, oggi è più facile o più difficile accorgersi di avere un problema come questo?

“È una domanda molto attuale. Da un lato, viviamo in una “cultura dell’emozione”, in cui si parla moltissimo di sentimenti, benessere psicologico e autenticità. Questo ha sicuramente favorito una maggiore alfabetizzazione emotiva e può aiutare alcune persone a riconoscere le proprie difficoltà. D’altra parte, questa continua esposizione può generare una pressione a esibire costantemente consapevolezza, empatia e sintonia”.

“Chi non riesce a rispecchiarsi in questi modelli può sentirsi inadeguato o semplicemente “sbagliato”, aumentando il senso di distanza da sé e dagli altri. In questo senso, l’alessitimia può essere ancora più invisibile oggi, perché viene nascosta dietro maschere socialmente accettabili o minimizzata con etichette come “sono fatto così”.