Effetti civili del matrimonio, cosa cambia con la Riforma Cartabia

CATANIA –In tema di crisi familiare nell’ambito del procedimento di cui all’art.473-bis.51 c.p.c., è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto con domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio” questo è il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione nella recentissima sentenza n. 28727 del 16 ottobre 2023.

Ma facciamo un passo indietro per comprendere meglio da dove trae origine la questione ad esso sottesa.

La ormai nota Riforma Cartabia (Dlgs 149/2022 in vigore dal 28 febbraio scorso) in ragione di una semplificazione e contestuale “risparmio di energie processuali”, tra le altre novità ha introdotto l’art. 473 bis. 49 cpc che con riferimento al giudizio contenzioso prevede espressamente la possibilità per i coniugi che intendano fruirne, di presentare, cumulativamente sia la domanda di separazione che di divorzio, fermo restando che la seconda domanda sia procedibile solo ove sia decorso il termine previsto ex lege in materia, a seconda dei casi, di sei o dodici mesi.

Tuttavia un’analoga possibilità non sarebbe stata prevista nell’abito di cui all’art. 473 bis.51 c.p.c. e quindi per i procedimenti su domanda congiunta. Ebbene l’assenza di una tale previsione ha dato adito a dubbi interpretativi tanto che la giurisprudenza si è interrogata circa l’ammissibilità o meno del cumulo delle suddette domande di separazione e divorzio proposte con ricorso consensuale. A riguardo fino a prima della sentenza in esame gli orientamenti della dottrina e della giurisprudenza di merito erano duplice e contrastanti: alcuni erano favorevoli all’ammissibilità del cumulo nei procedimenti non contenziosi, altri al contrario negavano tale possibilità asserendo che questa fosse prevista solo per i procedimenti contenziosi.

Ebbene la Corte adita dal Tribunale di Treviso per dirimere i dubbi interpretativi, ha ammesso la possibilità del cumulo sulla base di una serie di argomentazioni da un punto di vista sistematico oltre che letterale.

Infatti fermo restando che il codice tra le disposizioni in generale prevede il cumulo oggettivo nulla osterebbe a che un tale principio possa applicarsi a quelle di divorzio stante il fatto che queste domande sarebbero connesse in merito alla causa petendi volta a regolare una crisi matrimoniale irreversibile. Da un punto di vista letterale invece, nonostante il legislatore abbia disciplinato espressamente solo il cumulo delle domande nei procedimenti contenziosi, utilizzando il plurale nell’art. 473 bis.51 c.p.c. avrebbe “implicitamente” previsto in realtà un’unicità del ricorso in caso di domanda congiunta ammettendo di fatto il cumulo stesso.

A questo si aggiunga che come rileva la Corte nella sentenza, non sarebbe ostativa alla proposizione del cumulo delle due domande neppure la circostanza secondo la quale la procedibilità della domanda congiunta di divorzio ai sensi della legge in materia (L. 898/1970) possa essere decisa solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza di separazione sempre che sia decorso il summenzionato termine, dato che questo debba essere ugualmente rispettato anche in assenza del cumulo in esame.

Quanto infine alla questione sollevata circa l’operatività di una deroga al principio di indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale si rileva che nei procedimenti di separazione e divorzio, siano essi congiunti o contenziosi le parti propongono le loro domande all’organo giudiziario formulando le relative conclusioni, non disponendo come appare ovvio anticipatamente dei relativi status. La domanda di divorzio congiunta, come affermato dalla stessa Corte in precedenti pronunce, avrebbe natura meramente ricognitiva con riferimento ai presupposti necessari per lo scioglimento del vincolo coniugale, e pertanto non si configurerebbe alcuna ipotesi di «divorzio consensuale», dato che il giudice non è condizionato al consenso dei coniugi, ma deve solo verificare la sussistenza dei presupposti per la pronuncia. L’accordo dei coniugi in tale sede infatti avrà valore negoziale esclusivamente per quanto concerne i figli e i rapporti economici, nel merito dei quali il tribunale potrà entrare solo in caso di contrasto a norme inderogabili e all’interesse dei figli.