CATANIA – “Ho avuto un percorso scolastico molto difficile e, a volte, venivo derisa. Anche dai professori. Ero convinta di essere stupida”.
Comincia così la nostra conversazione con Clarissa Romano, ragazza di 19 anni, volenterosa, ma con disturbi specifici dell’apprendimento. Spesso gli studenti e le studentesse DSA sono visti erroneamente come persone con “handicap”. Ma non è così, perché il DSA, acronimo di Disturbo Specifico dell’Apprendimento, rappresenta in realtà una “neurodiversità”. Sono ragazzi intelligenti (non di rado anche superiori alla norma), in passato definiti “intelligenti ma svogliati”, ma aventi difficoltà solo in specifiche aree. come la lettura, scrittura o il calcolo.
“Alle medie – racconta Clarissa – non avevo ancora una diagnosi e ci sono stati molti episodi che mi hanno provocato parecchia sofferenza. La mia lettura era stentata e se leggevo non riuscivo a comprendere il testo, andava meglio se erano gli altri a leggere per me, i miei errori ortografici facevano sempre precipitare i miei voti e i miei compiti erano pieni di segni rossi. Mi accorgevo di non riuscire come gli altri, facevo una fatica incredibile e i miei risultati erano sempre scadenti, venivo sempre accusata di non fare bene e di non fare abbastanza. Questo ha creato in me nel tempo una grande insicurezza e convinzione di non essere al pari degli altri, la mia autostima piano piano è precipitata e non riuscivo più a socializzare, il distacco dagli altri era l’unica arma di difesa che sono riuscita a trovare. Vivevo isolata dal resto del mondo. Sono cominciati i silenzi anche durante le interrogazioni, mi bastava non ricordare un termine che subito mi bloccavo non riuscendo più ad esprimere nessun concetto e poco dopo iniziavo a piangere. Piangevo perché non comprendevo cosa in me non andasse, credevo di essere stupida e più volte mi è stato anche detto da compagni ma anche da alcuni insegnanti”.
Ma le difficoltà di Clarissa non finiscono qua, perché le cose diventano molto complicate anche alle superiori: “Ho scelto di fare il Liceo Scientifico e ho avuto molte difficoltà con la professoressa di matematica rischiando di essere bocciata al terzo anno. Avevo difficoltà nell’esposizione con alcuni insegnanti perché mi incutevano terrore e continuavo a non riuscire a parlare. Altri professori non mi consideravano più e mi sentivo trasparente, ma poi dicevano ai miei genitori che ero io a non andare interrogata”.
Verso la fine del percorso scolastico la chiave di volta: “Al quarto anno ho cambiato scuola, sempre Scientifico e per migliorare in latino i miei genitori mi portarono da una professoressa privata. È stata lei a notare le mie difficoltà e ad associarle ad un disturbo specifico di apprendimento confermato, poco dopo dalla diagnosi di “dislessia, disortografia e discalculia”. Inizialmente non ho reagito bene a questa notizia anche perché non sapevo cosa esattamente fosse, ma nello stesso tempo, quei referti per me sono stati una sorta di rivincita. Ho potuto dimostrare a tutti di non essere stupida. E poi…”.
Poi è arrivato l’incontro che le ha cambiato la vita e che la ha aiutata a sfruttare al meglio la sua intelligenza: Vanessa Vinciguerra, presidente dell’associazione “Vola Digitando DSA” nella quale opera come “tecnico dell’apprendimento” insieme ad altre quattro professioniste del settore (due psicologhe, due pedagogiste e una esperta in matematica). “Avevo conosciuto i genitori nel corso di un incontro l’anno precedente e dopo un ennesimo colloquio con i professori andato male, avevano deciso di chiedermi aiuto”. È così che ha incrociato la sua vita a quella di Clarissa.
Vita che, sarà un caso, le vede accomunate da qualcosa: “Anche io ho un disturbo dell’apprendimento diagnosticato a 39 anni dopo le diagnosi avute per le mie due figlie in seconda elementare – spiega Vanessa -. Vi assicuro che la notizia non mi lasciò affatto indifferente, provai una sensazione mista tra senso di colpa e grande disperazione e subito compresi che due erano le strade da poter percorrere, la prima era quella di decidere di bendare gli occhi, facendo finta che nulla fosse accaduto, l’altra era quella di tirare fuori la grinta che è in me e dare alle mie figlie tutto il supporto necessario”.
La scelta, ovviamente, è caduta sulla seconda possibilità: “La difficoltà è stata nel capire come aiutarle. Ho iniziato a studiare, a leggere qualsiasi articolo o sito internet che parlasse di questo argomento, visto tutti i video possibili, conosciuto la cooperativa “Anastasis” e sperimentato i loro software specifici per il supporto necessario allo studio. In breve tempo le mie figlie hanno ottenuto grandissimi risultati grazie anche al lavoro di rete fatto con gli insegnanti”.
Da lì la necessità e il desiderio di aiutare anche altri ragazzi con simili difficoltà: “Volevo che non provassero il disagio che io stessa avevo tante volte provato tra i banchi di scuola. Oggi, infatti, la nostra associazione segue un gran numero di studenti, il modello che seguiamo è quello dei doposcuola della rete “Anastasis” con tutor specializzate e costantemente formate dai migliori specialisti di tutta Italia. I migliori risultati con i nostri studenti li abbiamo ottenuti quando scuola e famiglia collaborano attivamente con noi nell’accompagnare lo studente verso un efficace metodo di studio. È per questo che ci dedichiamo anche alla formazione nelle scuole su strategie pratiche per una didattica inclusiva che aiuti la scuola a diventare una struttura qualificata ad ospitare tutti i tipi di studenti e a garantire loro il diritto allo studio”.
A questo punto la domanda sorge spontanea: quali sono i punti di forza e le soluzioni per aiutare i DSA? “Quello che cerchiamo di fare – risponde Vanessa -, sfruttando anche il supporto della tecnologia, è aiutare l’apprendimento attraverso lo sviluppo di tutte le potenzialità degli studenti mediante attività che sfruttano più canali sensoriali”.
Un grande supporto agli studenti è anche quello di condividere attraverso attività di “circle time” (lavori in gruppo) con tanti altri studenti con simili difficoltà, punti di forza, paure, sofferenze e il fatto di non sentirsi unici nella loro difficoltà li aiuta a superare molti dei disagi associati che possono spesso scaturire, cosa che anche Clarissa tiene a sottolineare: “A differenza di altri centri frequentati, qua mi sento a casa, il gruppo è come una grande famiglia”.
Il risultato di tutto ciò? La grande soddisfazione che si legge nei volti, come in quello di Clarissa, la quale, dopo tante avversità, e contrariamente alle sue iniziali aspettative, lo scorso anno, grazie al supporto di “Vola Digitando” ha conseguito il diploma di liceo scientifico e oggi a 19 anni, è iscritta al primo anno di Chimica presso l’ Università di Catania: “Purtroppo non ho passato i test di medicina, ma ci riproverò perchè il mio obiettivo è fare la neuropsichiatra infantile, così da poter diagnosticare quanto più precocemente possibile i bimbi con disturbo specifico dell’apprendimento e aiutare chi ha questi disturbi sin da piccoli”.
Insomma, Clarissa ha dimostrato che “digitando… si può volare”.