CATANIA – Nonostante il presidente del Consiglio Matteo Renzi parli di crescita, supportato anche da qualche dato statistico che attesta l’aumento dei consumi, la crisi complessiva del commercio resta cronica in tutta Italia e particolarmente in Sicilia. A fare da leader negativo la città di Catania.
Secondo i dati pubblicati da Confesercenti, nel capoluogo etneo, come nel resto dell’Isola, nei primi otto mesi dell’anno hanno abbassato le saracinesche 892 negozi di commercio al dettaglio e 208 tra bar e ristoranti. Più di quattro aziende al giorno di media.
La Sicilia detiene la maglia nera in Italia per chiusura di aziende nel 2015: il 2,3%, un totale di 1433 negozi in meno rispetto ai primi otto mesi del 2014. La diminuzione degli esercizi riguarda tutti i settori merceologici.
“Una lenta e progressiva resa dei piccoli commercianti con drammatiche conseguenze a livello occupazionale e sociale e con la desertificazione del centro storico – denuncia Salvo Politino, direttore di Confesercenti Catania –. Come più volte denunciato sui negozi pesa la tassazione eccessiva e la liberalizzazione degli orari. I piccoli esercenti non riescono a restare aperti 365 giorni l’anno con orario continuato e questo non fa altro che far perdere quote di mercato in favore della grande distribuzione”.
In attesa di nuovi riscontri che avranno luogo dopo la chiusura del primo trimestre 2016, con l’auspicio di un trend con il segno più, Confesercenti lancia una proposta al Governo per porre un freno a questa ecatombe aziendale: introdurre affitti a canone concordato per interrompere la desertificazione dei centri città, oltre alla riduzione dell’Imu, tassa che grava molto sulle casse dei commercianti.