RACALMUTO – La sicilianità alla luce della ragione. Si potrebbero definire così, in estrema sintesi, l’opera, l’impegno politico e la vita di Leonardo Sciascia.
Spirito libero e anticonformista, l’intellettuale più europeo del ‘900 italiano era nato esattamente 100 anni fa, l’8 gennaio 1921, a Racalmuto. Quella che nei suoi libri si trasforma in Regalpetra, luogo che esiste e non esiste. Diventa la fantastica ambientazione della narrazione di fatti realmente accaduti, dove si susseguono paradossi e ingiustizie comuni a ogni paese della Sicilia, che cambia sempre per non cambiare mai.
Leonardo Sciascia e la giustizia
È la giustizia il tema ricorrente dei lavori di Sciascia, o meglio la mancanza di essa. L’ingiustizia della giustizia, le collusioni, la corruzione, il potere nelle sue sfaccettature più cupe. Nei suoi romanzi, infatti, è proprio il potere a rendere impossibile il raggiungimento della verità. A riprova che il suo era un senso della giustizia pessimistico e sempre deluso, accompagnato però dall’uso della ragione umana di matrice illuminista.
Maestro e scrittore
La coscienza civile di Leonardo Sciascia si era infatti formata sui testi di Voltaire, Montesquieu, Cesare Beccaria e Pietro Verri. In particolare, a fargli da guida nell’approccio alla lettura degli autori francesi era stato Vitaliano Brancati. Lo scrittore originario di Pachino insegnava, infatti, nell’Istituto Magistrale IX Maggio di Caltanissetta. È là che la sua strada si era inizialmente incrociata con quella del giovanissimo alunno Sciascia che, ammirato, ne fece il proprio modello. Tanto da diventare lui stesso insegnante nella medesima scuola. E da decidere di intraprendere la carriera di scrittore dopo aver letto il maestro sulla rivista Omnibus di Leo Longanesi.
È Pier Paolo Pasolini, invece, che si accorge per primo del talento del maestro di Racalmuto. Nel 1950 ne recensisce il primo libretto “Favole della dittatura”. Di lì a poco anche Italo Calvino fa la conoscenza delle sue opere.
Intanto, il 19 luglio 1944 Leonardo Sciascia aveva sposato nella Chiesa della Provvidenza di Caltanissetta Maria Andronico. I suoi testimoni erano stati il partigiano Ugo Cordova e lo scrittore di Delia, nonché suo compagno di banco al Magistrale, Stefano Vilardo.
Il maestro-scrittore fino al 1957 ha vissuto con la moglie e le figlie Laura e Anna Maria al civico 37 di via Regina Margherita. Era la casa di famiglia di Racalmuto in cui aveva trascorso la propria infanzia accanto al nonno e alle tre zie Angela, Marietta e Giuseppina. Nel 2019 è stata acquistata per 50mila euro da Pippo Di Falco. Ex consigliere comunale del Partito Comunista e bibliofilo, insieme ad altri amici e ammiratori dello scrittore di Racalmuto, ne ha fatto un piccolo museo: “Casa Sciascia”, per l’appunto.
“Il giorno della civetta” e il cinema
Nel 1961 con la pubblicazione del romanzo “Il giorno della civetta”, Leonardo Sciascia ha fatto conoscere la mafia agli italiani, manifestando già la propensione tipica della sua produzione a includere la denuncia sociale nella narrazione di episodi veri di cronaca nera. Nei suoi romanzi, infatti, lo scrittore accusava il sistema di connivenze di cui godeva Cosa nostra, coinvolgendo la politica nazionale e alludendo alla diffusione della mentalità mafiosa. Il registra Damiano Damiani nel 1968 ha trasposto il libro al cinema. È successo anche con altre opere dello scritto racalmutese che, amante della settima arte, ha mantenuto però un rapporto ambivalente con i film tratti dai suoi libri.
Il cinema ha avuto un valore speciale per Leonardo Sciascia anche in virtù di alcuni ricordi legati alla propria infanzia. Lo zio Giuseppe, infatti, per un certo periodo di tempo era stato gestore del teatro comunale di Racalmuto che, due giorni a settimana, diventava cinematografo. Ricordi riaffiorati alla mente dello scrittore anche in occasione di una speciale proiezione organizzata da Vincenzo Consolo del film capolavoro di Giuseppe Tornatore “Nuovo Cinema Paradiso”. La malinconica e romantica trama, con punti di affinità con la sua esperienza personale, non poteva che commuoverlo. La sua anima del resto, benché avesse eletto Spagna e Francia a luoghi dello spirito, era rimasta ancorata alla Sicilia più nascosta, quella che attraverso le voci di paese entrava nei suoi libri. E che con le sue opere ha portato nel mondo.
L’attività giornalistica di Leonardo Sciascia e le polemiche sull’antimafia
Leonardo Sciascia ha applicato la propria posa letteraria, forgiata sulla lucidità e la precisione illuministiche, non solo a romanzi e saggi, ma anche all’attività giornalistica. Per anni, infatti, ha collaborato con L’Ora, il Corriere della Sera e La Stampa. Erano editoriali corrosivi e scomodi, coi quali battagliava per una giustizia giusta. E con cui ha dato vita ad aspre polemiche sull’antimafia che gli hanno procurato accese critiche da parte di colleghi, rappresentanti delle istituzioni e lettori.
In particolare il caso esplose il 10 gennaio 1987, quando Sciascia pubblicò sul Corsera l’articolo “I professionisti dell’antimafia”, titolo attribuito dalla redazione, al quale avrebbe preferito “I rischi dell’antimafia”. Biasimava il comportamento di alcuni magistrati del pool antimafia che, a suo parere, si erano macchiati di carrierismo. Secondo lo scrittore i giudici si erano serviti della battaglia per la rinascita della Sicilia come titolo di merito da sfoggiare nel sistema delle promozioni all’interno della magistratura. Le accuse si riferivano in particolare a Paolo Borsellino, che aveva vinto il concorso per diventare procuratore della Repubblica di Marsala non per anzianità di servizio, ma proprio in virtù delle competenze maturate nella lotta alla criminalità organizzata. “Nulla vale più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso“, scrisse l’intellettuale. Solo in seguito Borsellino e Sciascia si chiarirono.
L’attività politica
Per alcuni anni il maestro di Racalmuto si era anche impegnato attivamente in politica. Nel 1975, infatti, era diventato consigliere comunale di Palermo come indipendente nelle liste del Partito Comunista Italiano. Ma si dimise nel 1977 per manifestare la propria contrarietà al compromesso storico (il riavvicinamento del PCI e della Democrazia Cristiana) e il rifiuto di alcune forme di estremismo, arrivando a scontrarsi con la dirigenza del partito. Dal ’79 all’83, invece, è stato deputato in Parlamento con il Partito Radicale. Anche negli interventi che hanno puntellato la sua attività politica sono confluite la sua tipica capacità di analisi ed esposizione, mossa da un approccio mai ideologico ma sempre ancorato a un’analisi acuta e spietata dei fatti.
È stato un politico tenace, deciso a impegnarsi in prima persona per fare luce sulle trame nere della storia, criticando il potere costituito e i suoi segreti inconfessabili. Ha preso parte alla commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro (di cui si era occupato nel 1978 con “L’affaire Moro”) e sul terrorismo.
Illuminista senza certezze
“Credo nel mistero delle parole, e che le parole possano diventare vita, destino; così come diventano bellezza”, scriveva Sciascia. Ed è forse tutta qui l’essenza della sua opera, il motore della sua esistenza. Conoscere e svelare le contraddizioni della Sicilia e dell’umanità tutta con il potere delle parole e l’uso della ragione. Un illuminista ansioso di incontrare un’epifania, ma senza mai arrivare a una conclusione finale soddisfacente. Senza certezze. Perché giunto infine alla conclusione che, abbracciando le idee di Pirandello, la realtà non sempre è osservabile in modo oggettivo, ma spesso è solo un insieme di verità e menzogne. Non sempre distinguibili le une dalle altre. “Di nulla sono certo, neppure della mia incertezza”.