Il linguaggio di Camilleri per la sua Sicilia, così lo scrittore ha ricostruito l’immagine dell’Isola

PALERMO –Camurrìa“, “cabbasisi“, “ammazzatina“, sono soltanto alcuni dei termini siciliani divenuti di utilizzo comune negli ultimi anni anche al di là dello Stretto. Un contributo fondamentale alla diffusione nazionale di queste e altre parole è stato dato certamente dalle opere letterarie dello scrittore Andrea Camilleri, scomparso lo scorso 17 luglio a Roma alla veneranda età di 93 anni.

Vocabolario robusto e sempre più inflazionato quello adoperato dall’artista di Porto Empedocle, nonché affinato e noto al grande pubblico soprattutto per la messa in onda delle puntate della fiction Il Commissario Montalbano, personaggio magistralmente interpretato dall’attore romano Luca Zingaretti.

Certamente, per piacere ed essere comprensibile anche a un pubblico non parlante il dialetto siciliano, la “lingua” prodotta da Camilleri nelle sue opere è stata diluita dai contenuti più aspri e arcigni, realizzando così una particolare commistione tra la “parlata” nostrana e la lingua italiana pronunciata su tutto lo stivale.

E se il mix accidentato dell’agente Catarella, fedele “scudiero” di Montalbano nel corso delle sue peripezie, provoca volutamente ilarità ed equivoci, il siciliano “italianizzato” diventa funzionale per rendere aderente la narrazione alla consequenzialità delle vicende.

Ma il merito più grande del genio empedoclino con la sua fatica più celebre sta probabilmente nell’aver rivalutato, nel corso del tempo, l’immagine di un territorio marchiato a fuoco da problemi e criticità secolari e apparentemente insormontabili. Nelle puntate del commissario di Vigata la criminalità organizzata viene raramente nominata.

Una scelta che intende non rinnegarne l’esistenza, bensì destinarla sullo sfondo per conferirne minore dignità. In primo piano, infatti, emergono le vicende umane del territorio e dei suoi personaggi, così come temi d’attualità come gli sbarchi dei migranti o i casi di femminicidio.

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