LAMPEDUSA – Tre membri dell’equipaggio di una imbarcazione da pesca tunisina, sono accusati di aver consentito l’ingresso irregolare in Italia di 31 cittadini tunisini.
Sono stati eseguiti dalle Fiamme Gialle di Lampedusa e dai poliziotti della Squadra Mobile della Questura di Agrigento.
Soccorsa un’imbarcazione a sud di Lampedusa
L’attività di Polizia giudiziaria, è stata avviata lo scorso 12 agosto, trae origine da una chiamata di soccorso con la quale veniva segnalata la presenza di un’imbarcazione con migranti nelle acque a sud di Lampedusa.
In realtà, i mezzi navali della Guardia di Finanza e Frontex, inviati sul posto, individuavano un peschereccio tunisino, con a bordo 31 migranti e 3 soggetti di equipaggio, che trainava 2 tender privi di motore. La presenza di due motori fuoribordo normalmente utilizzati su piccoli natanti, le buone condizioni di salute dei migranti, incompatibili con chi affronta i cosiddetti “viaggi della speranza” via mare, e la precarietà dei due piccoli gommoni trovati a fianco del peschereccio, inducevano a pensare che sicuramente i migranti non avessero viaggiato autonomamente.
In effetti, anche alcuni video, rinvenuti all’interno degli smartphone dei migranti, confermavano che questi avessero sin dal principio viaggiato a bordo del peschereccio tunisino.
Le attività investigative dell’hotspot
Le successive attività investigative nell’Hotspot dell’Isola, condotte dalla Squadra Mobile della Questura di Agrigento e dai finanzieri della Sezione Operativa Navale e della Tenenza di Lampedusa, sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Agrigento, hanno consentito di cristallizzare l’ipotesi di una condotta ben pianificata da parte del peschereccio tunisino, finalizzata a “scaricare” i migranti sulle imbarcazioni più piccole in prossimità delle acque lampedusane, simulando poi una mera assistenza ed attivando così la macchina dei soccorsi.
In carcere i tre soggetti del peschereccio
Restano in carcere, quindi, tutti i componenti dell’equipaggio del peschereccio tunisino che precedentemente erano stati trasferiti ad Agrigento a mezzo di unità navale della Guardia di Finanza, per essere poi trasportati nel carcere di “Petrusa“.