L’evoluzione della diagnosi e degli screening prenatali

L’evoluzione della diagnosi e degli screening prenatali

Giuseppe_Ettore

La diagnosi prenatale invasiva è stata introdotta circa 40 anni fa. La prima tecnica è stata l’amniocentesi, poi la placentocentesi, la fetoscopia, la cordocentesi e poi il prelievo dei villi coriali (CVS). Tutte queste tecniche hanno permesso di prelevare tessuto biologico di origine fetale per la diagnosi di malattie cromosomiche e geneticamente determinate. Lo sviluppo di queste tecniche è stato facilitato dall’evoluzione delle strumentazioni, della tecnologia, della citogenetica e biologia molecolare.

Le tecniche attualmente più diffuse hanno un rischio basso di perdita fetale (0.3-0.5% per il CVS e Amniocentesi, 1-2% per la cordocentesi) e comunque un costo significativo di analisi di laboratorio. Pertanto i programmi di prevenzione del Servizio sanitario nazionale hanno sempre limitato l’uso di queste tecniche prenatali ai casi maggiormente a rischio (soprattutto ai casi in cui il rischio genetico supera in percentuale il rischio di perdite fetali). Il risultato è stato che negli anni ‘80 il cariotipo fetale è stato offerto, per la trisomia 21, alle donne con età ≥35 anni (o per altre condizioni di rischio), con una “detection rate” del 40%.

Con l’introduzione dello screening biochimico al II trimestre, la detection rate è aumentata al 60%. I progressi dell’ecografia hanno favorito la diffusione del “genetic ultrasound” tramite markers sonografici della trisomia 21 al II trimestre di gravidanza, anche se questi screening ecografici non sono stati universalmente accettati nella popolazione a basso rischio. Per molti anni nel II trimestre è stata quindi utilizzata l’amniocentesi e in alcuni casi la cordocentesi su indicazione dell’età materna o in seguito a sonogramma genetico fetale alterato. Tutto questo ha portato, nei paesi più sviluppati, ad un incremento delle indagini invasive prenatali intorno al 15-20%.

Agli inizi degli anni ‘90 un importante esame è stato la misurazione della translucenza nucale fetale (NT), tra la 11a e la 14a settimana di gravidanza, associato al dosaggio biochimico delle free beta hCG e della PAPP-A per lo screening della sindrome di Down e di altre patologie fetali. Lo screening al I trimeste con la NT ha portato la sensibilità per la trisomia 21 al 90% con il 5% di falsi positivi. Lo screening con la NT ha cambiato il corso dell’assistenza prenatale. Infatti se prima la maggior parte delle indagini fetali e controlli in gravidanza venivano eseguiti nel III trimestre di gravidanza, lo screening della NT ha anticipato i controlli al I trimestre con notevoli vantaggi per la salute psicofisica materno-fetale.

Anche il genetic screening al II trimestre ha risentito in maniera evidente dell’introduzione della NT e degli altri markers biochimici ed ecografici al I trimestre, come la visualizzazione dell’osso nasale, il rigurgito della mitrale, il dotto venoso, l’angolo facciale e il mitral gap. La più importante ed evidente conseguenza dello screening al I trimestre è stata la notevole diminuzione delle diagnosi invasive prenatali con un decremento dei costi economici e una diminuzione delle complicanze fetali.

L’altra importante conseguenza è stato lo shift della diagnosi prenatale invasiva dal II al I trimestre con aumentata richiesta del CVS rispetto all’amniocentesi. Ciò ha portato ad una maggiore preparazione delle scuole di formazione e dei teacher, per il traning e accreditamento degli operatori per il prelievo dei villi coriali, tecnica meno diffusa dell’amniocentesi ma sempre in continuo aumento. Contemporaneamente agli screening e alle tecniche invasive di diagnosi prenatale, alle coppie ad alto rischio che non vogliono interrompere la gravidanza dopo risultato patologico, è stata offerta la diagnosi genetica preimpianto che, ricorrendo alle tecniche di procreazione medicalmente assistita e analisi molecolari, consente di escludere i rischi specifici.

Per alcuni anni non si sono avuti altri significativi miglioramenti nelle tecniche fetali se non il perfezionamento e la maggior accuratezza sia in campo operativo che nella diagnostica ecografica e in quello di laboratorio grazie anche al sequenziamento del DNA umano. Recentemente due importanti innovazioni l’array comparative genomic hybridisation (aCGH) nella diagnosi prenatale e il non invasive prenatal test (NIPT) con l’utilizzo del cell free fetal DNA (cff-DNA) nel sangue materno, promettono di cambiare lo scenario della medicina prenatale e perinatale. L’aCGH permette l’identificazione di varianti cromosomiche patologiche non evidenziabili con la citogenetica tradizionale.

Al momento le società scientifiche suggeriscono di utilizzare queste tecniche molecolari solo in casi di malformazioni fetali evidenziate ecograficamente oppure come screening e non come diagnosi al posto del cariotipo ottenuto con la citogenetica tradizionale.

Il secondo recente progresso è il test non invasivo o NIPT. Il test non invasivo viene utilizzato per la diagnosi di sesso, per il RhD antigene, per geni paterni ereditati e per alcune patologie de novo autosomiche dominanti.

Un recente utilizzo del NIPT riguarda la possibilità di individuare la trisomia 21, 18 e 13, cromosomi sessuali e triploidie usando la tecnica shotgun massively parallel sequencing (S-MPS).
Per la trisomia 21 diversi studi hanno dimostrato una sensibilità dal 94,4% al 100% con falsi positivi dal 0 al 2.1%.Per la trisomia 18 e 13 i risultati sono lievemente inferiori. La limitazione maggiore è il fallimento diagnostico (1-5%), la risposta più tardiva (1-2 settimane) e gli alti costi economici. Al momento attuale il NIPT è da considerarsi un “super screening test” e il suo utilizzo è stato proposto sia come screening della popolazione ostetrica generale sia come contingent screening test nei gruppi a rischio.

La prima opzione ha costi economici molto elevati dovuti anche al successivo test invasivo nell’1-2%. Il secondo approccio implica un minor utilizzo di tecniche invasive (0.4-0.8%) e una sensibilità dell’86- 97% a seconda di come viene classificato il gruppo ad alto rischio. È importante che le comunità scientifiche siano chiamate a considerare i costi economici e l’eticità del NIPT e l’impatto che produce il test sulla popolazione, soprattutto perché la società moderna è sempre più spesso influenzata dalle web-news più che dai consigli e suggerimenti proposti dai genetisti e dagli ostetrici e ciò può portare a risultati e conseguenze devastanti per la salute materno-fetale.