“La vera cura sei tu” di Raffaele Morelli

“La vera cura sei tu” di Raffaele Morelli

La lezione del Professore che cura l’anima. La sua è una voce lenitiva, un balsamo per l’anima in piena fioritura o provata da un’angoscia opprimente. Il Professore Raffaele Morelli, psichiatra e psicoterapeuta, fondatore e Presidente dell’Istituto Riza di medicina psicosomatica, è l’ancora nel mare oscuro dei corridoi della mente.

Le pagine dei suoi numerosi libri sono calamita curativa per la fame di conoscenza dei ghirigori della psiche, dove le virgole parlano e il punto rassetta il disagio. “La vera cura sei tu” è il titolo di uno dei suoi preziosi manuali ma è soprattutto un mantra che il Professore ha confezionato per l’anima barcollante nel buio solo suo.

È inestimabile il valore del silenzio, pilota del veicolo “ENERGIA” che è dentro di noi, nel nostro corredo di pelle e cromosomi, soffocato dall’assordante mare quotidiano in tempesta, costringendoci a nasconderci sotto un pugno di sabbia rubata apposta per sparire dal mondo. “È la legge del ‘vuoto cosciente’ il farmaco dell’anima”. La notte è la tenda che ripara, il buio è un medico che cura con il silenzio, disorienta prima per ritrovarsi poi, quindi necessario.

L’immaginazione è sorella timida del sogno, non avrà mai la sua forza salvifica ma è indispensabile provarci. La fantasia è una cura che raramente fallisce, il cervello ha una camera riservata alla magia della favola che visitiamo poco, un museo di pareti arcobaleno dentro cui non siamo mai stati. È la stanza del farmaco su misura per noi e lasciamo che diventi muffa in una soffitta dimenticata… “Le immagini sono l’energia trasformativa più potente che possediamo ed esprimono tutto il loro potere terapeutico nel silenzio”. Tutti abbiamo un nido per nasconderci, un nido che ripara e che culla, protegge e prepara.

Una vocazione alla ricerca del NULLA dal carattere remissivo e paziente, una gestazione in attesa della schiusa. Allontanarsi dal PENSIERO è l’unica cura per non cadere sconfitti ai piedi del pericoloso alieno. “Se i rami secchi ingombrano il nostro mondo interiore ci ammaliamo di ansia, insonnia, depressione. Nessun sapere convenzionale ci può aiutare quando stiamo male. Proprio perché siamo unici, c’è qualcosa dentro di noi che sa come curarci: sì, siamo abitati dal nostro psicoterapeuta nascosto e non lo sappiamo.” Diventeremo fiori, torneremo a stordire il mondo con la nostra presenza-essenza, ma in questo maledetto adesso siamo semi interrati e circondati da sbarre e divieti. Quando il dolore appanna la mente non facciamogli domande, assillarlo lo rinvigorisce, basta tenere gli occhi chiusi per guardarlo meglio senza vederlo. Silenzio. Serve un lauto banchetto di silenzio.

L’uomo è fragile anche se lo ha sempre negato, all’improvviso lo specchio della sciagura gli ricorda la pochezza della sua carne, si dibatte come un animale in trappola, ma del senno di poi… Il miracolo è un merito, il premio si allontana da noi perché il sacrificio è lasciato solo, evitato. “Il cervello attinge alla sorgente inesauribile del Sè. Così facendo, arrivano veri e propri miracoli”. È il momento di allontanarsi deboli e affranti dal “centro” per tornarvi più forti di prima, correre a perdifiato nel paese del NULLA, chiedere ospitalità e lì sostare per il tempo necessario senza contare il tempo.

È necessario farsi conquistare dalla capacità salvifica delle piccole cose, spostare l’attenzione per mettere da parte e non per negare la realtà evidente, cambiare direzione per tenersi distante quando la mente diventa un ordigno inesploso. Il dolore è universale ma il modo di viverlo è singolo, siamo tanti, unici e molteplici.

È quindi necessario:

• Perdersi nella folla di un improvviso centro instabile, non aver paura della bussola mancante, la clessidra scandisce il tempo che avvicina il risveglio.

• Non porsi domande, alimenterebbero i dubbi.

• Ricevere i pensieri luttuosi senza respingerli, ospitarli in un immaginario salotto con delle poltrone rivestite di paziente accoglienza. • Bruciare la carta d’identità del passato.

• Lasciarsi inghiottire dalla voragine per risalirne mentalmente stabili. Prendersi cura di sè significa rispettare la paura e la tristezza quando vengono a trovarci, senza lamenti e senza il desiderio di mandarli via.

Prendersi cura di sè significa diventare impersonali, senza identità : basta ripetersi qualche volta durante il giorno, anche solo per pochi attimi : io ascolto il dolore. Noi siamo il farmaco, noi siamo la cura, noi siamo il veleno e l’antidoto solo se restiamo estranei a noi stessi. La forza a cui facciamo appello per scappare dalla paura rinvigorisce la paura, così l’inconscio trattiene il panico alimentato dall’energia volta a respingerlo.

La nostra è un’epoca connessa, risulta quindi difficile misurarsi con l’esperienza di un isolamento forzato, a stretto contatto col vuoto. Ecco che appare necessaria la ricerca delle radici affidandoci al buio abitato da una presenza amica e allo stesso tempo sconosciuta, l’enigmatico .

sara