“Le tartarughe tornano sempre” di Enzo Gianmaria Napolillo

“Le tartarughe tornano sempre” di Enzo Gianmaria Napolillo

Le radici incarnano la certezza indiscussa sull’identità umana, anche se questa venisse modificata da una folata di vento contrario. L’uomo appartiene a se stesso prima che alla foce del mondo, pronta ad accogliere il passo più o meno felice di tutta un’esistenza terrena. Non di rado però una valigia viene preparata e chiusa, a conferma dell’amaro addio alla terra che ha partorito e perduto il figlio adottato da un nuovo cielo venuto a cercarlo.

Lo scenario marino del romanzo di Enzo Gianmaria NapolilloLe tartarughe tornano sempre” è l’isola dal nome tenuto nascosto, anche se diversi riferimenti geografici, uno tra tutti la Spiaggia dei Conigli a Punta Caladritta, non sono sfuggiti a individuare la bellezza del mare cristallino di Lampedusa, ultima tappa di croce a mani giunte per gli ospiti stranieri senza passaporto.

Fonte foto Google/Ibs

L’isola ha voluto che Salvatore diventasse un uomo ancorato alle radici di sole e di sale, libero di correre nella natura premurosa madre con ogni suo figlio svegliato dal faro sovrano.

“C’è un accordo segreto tra lui e quella terra, inciso nella pelle, un accordo che nessuna distanza può intaccare, frutto dell’appartenenza a un luogo che non si può abbandonare, che rimane negli occhi, come una vecchia foto che accompagna e rassicura”.

Salvatore è innamorato di Giulia, con lei condivide la stagione del mare gemellato al cielo per tutto l’azzurro indistinto tra due metà dello stesso pianeta. Giulia vive nella capitale del nord, Milano, la metropoli insonne da mezzanotte in poi. I chilometri separano, a volte sono causa del crollo di una qualsiasi espressione di contatto, ma la distanza resta innocente quanto la misura del tempo coinvolto.

I mesi invernali si arrotolano su se stessi per la fretta di finire il letargo che, quasi certamente, accrescerà il desiderio di ritrovare la bianca lingua di sabbia con tutto l’amore che si porta addosso. Invitati a nozze dalla strana coppia celeste, Salvatore e Giulia ritrovano il sentimento a riposo nel cuore grigio della città. I lunghi inverni scivolano via scrivendo lettere in buste rosa per non dare voce alla malinconia della distanza.

A braccia aperte, l’isola di Lampedusa torna sempre ad accogliere quel giovane amore irradiandolo di luce materna. Qui lo scrittore libera la penna in quell’angolo di paradiso cosparso di incantevoli tramonti, lanterne di carta affidate al vento e la fresca ingenuità dei primi amori in riva al mare.

L’onda perfetta cambia umore alla vista del corpo di un ragazzino sul bagnasciuga, tomba di sventura che nell’ora nera ha cancellato il domani. Un barcone scappato dai morsi della guerra ha svuotato nel mare il suo carico umano, tanto lontano dalle proprie radici quanto forte, fortissima è la speranza di raggiungere la terraferma con i polmoni pieni di vita. La via crucis dell’uomo si ripete con le ore contate, ancora una volta un macabro appuntamento con la disgrazia dà l’addio alla traversata infernale.

Lampedusa, l’isola dei migranti, si sveglia con l’odore di morte, il turista scappa con le valigie imbottite di lusso. Intanto il migrante bacia la terra straniera, è nudo, è povero, è l’immagine del figlio di Dio nella salita al Calvario. Morirà per aver voluto vivere il rischio di una folle traversata che finirà per seppellirlo nel mare. Le striature di sangue colorano le onde di vita dispersa, a loro modo ricevono il battesimo nell’acqua un pò mezzo, un pò culla, poi bara per sempre. I corpi inabissati dei migranti gridano la morte violenta a pochi centimetri sul livello del mare, a un chilometro di terra tanto avara di cuore. Non rimarrà che qualche minuto innamorato della porzione di mondo proibita allo straniero scuro di pelle e privo di tasche.

L’uomo bianco resterà a galla, obeso dalle fortune al cospetto del valore di un respiro. Gli occhi di Giulia e Salvatore fissano con rinnovata coscienza quante vite fuori dal grembo sfidano le mille crepe della clessidra.

“L’isola è di chi rimane e di chi arriva. Non di chi se ne va. Non di chi dimentica”.

Davanti allo strazio reiterato nelle stagioni, l’amore estivo pian piano perde le forze, una dopo l’altra, tutte meno una, utile al ritiro dell’ancora per salpare verso paradisi di umanità.

sara