“La donna degli alberi” di Lorenzo Marone

“La donna degli alberi” di Lorenzo Marone

Lei è una. Sola e isolata con un colore intorno. Verde. Madre Natura l’assorbe pienamente nella sua reclusione alla libertà dell’aria. Respiro vergine. Si chiama Lei, non conosceremo il suo nome né quello delle figure in ombra che un giorno, all’improvviso, diventano concretezza suonare alla porta.

Qualsiasi nome sarebbe riconoscimento superfluo sul Monte imperatore delle piccole cose, uomo compreso. Lassù la fitta vegetazione banchetta in compagnia di Volpe, di Gufo e di Cane ai lati di freschi ruscelli in caduta libera dalla sorgente.

Lei ha scelto di gemellarsi a tutte le sfumature di verde, dalle più nobili al filo d’erba plebeo calpestato senza nessuna colpa. Uno moltiplicato per cento e ancora cento traccia la mappa del sentiero che conduce a valle dove la vita è un formicaio di braccia impegnate nella corsa del fare, ogni respiro è preso di mira dal successivo suscettibile di perdere la sua energia nella potenza dell’ansia.

Lassù nella vecchia baita di famiglia l’Oro dell’alba bussa alla porta vestito di Luce.
Lei è la voce narrante troppo severa con quel suono appartato, il lettore non conosce il suo nome perché la ricerca ha dissolto la sua identità nel sentiero tortuoso del dubbio.

Sarà un lunghissimo inverno imbiancato da metri di neve in attesa dell’orma sigillo di uomo, ci sarà da battere i denti durante le notti spose del gelo, dal tetto del Monte sarà deciso lo strapiombo delle temperature. Non tarderà lo strepitio della solitudine invaghito dalle lenzuola troppo avare di calore, sarà sera, sarà mattina ubriaca di vuoto, e dentro quel vuoto il passato griderà a squarciagola tutto il dolore possibile.

Lei donna senza nome, paladina senza guerra impara ad ascoltare la voce che non c’è, siede silenziosa sulla coltre bianca del finto paradiso decisa 25a togliere le erbacce da ogni dubbio.
Intanto la valle abbonda di superfluo in corsa a tutte le ore del giorno, mentre quassù una volpe e un gufo reale dovranno bastare a coprire l’eco dei ricordi. Ogni scelta nasce su imitazione del primo gradino così alto da far paura, poi interroghi le gambe e scopri la dolce verità della gioia impensabile. Sii padre e madre dei tuoi passi, non potranno deludere il sorriso della meta.

Lei cammina con l’intuizione dell’anima, come può non accorgersi del cerchio sempre più chiuso intorno al suo spazio imbevuto di grazia? Cosa non è la radura dopo il fitto bosco, uno specchio d’acqua dopo la luna di neve?

Nient’altro che un azzurro in anticipo sulla tabella di marcia.
Alla pena della solitudine il Monte chiede perdono con una macchia errante nel bosco. Una giacca rossa annuncia la presenza di un uomo, lo chiamano Straniero, vive in un rifugio mosso dall’ambizione di dare natura alla natura, piantando alberi sul versante nord della montagna. Non sarà lontano il giorno in cui un mare verde crescerà compatto sotto la vetta del Monte, le radici si abbracceranno e in quel preciso istante la Natura sarà ancora Madre prolifera del frutto per l’uomo.

La sera di Natale, immobile nel letto, mi confessò che gli alberi li vuole piantare per rendere sicuro il fianco del Monte, ma anche e soprattutto perché è un gesto buono per un domani buono, perché la costruzione di una casa porta con sé la malinconia della fine, interrare il seme invece traccia un punto ulteriore, contribuisce al flusso dell’abbondanza, è credito di prosperità, partecipazione alla crescita“.

Come può una Donna condividere il progetto dello Straniero?

L’inverno la repudierà in malo modo o peggio, la seppellirà di neve accanto a una viola esanime fino a primavera inoltrata. Una Lei in fuga da se stessa pensa al fiore quando è ancora un seme, vive la notte anziché temerla, rallenta la fretta della malinconia. Diventa un tutt’uno con fratello vento quando si muove nel regno animale, forte del desiderio di unirsi alla dimensione verde. Con Cane, con Gufo e con Volpe dimentica l’affanno delle lancette educate al regime di un dovere da compiere. Chi segue chi non è dato saperlo, ma se si potesse tradurre la radice dell’affinità, il territorio umano troverebbe asilo nel volo libero della Natura.

Quanta bellezza si nasconde nel sottobosco, Lei adesso lo sa grazie allo Straniero viaggio e meta
del racconto fiabesco fluttuante al pari di una foglia instabile. Ecco che il dettaglio viene separato dalla massa informe dell’insieme riunito a caso, la cura è singola, disconosce la folla. Non serve un nome ma la voce ubbidiente all’appello. Lo Straniero risponde fissando la data di scadenza del suo sorso di vita.
Vive il suo ultimo inverno l’ala che mancava per dare il via al piano di volo esemplare, Lei stringe al petto la disgrazia fucina di una promessa che manterrà, oh certo che manterrà, la notte scura sta per dare spazio alla Luce in letargo da mesi.

La presenza di figure sterili di nome sono vigore per le debolezze inspiegabili: la Rossa, la Guaritrice e la Benefrattrice offrono la parola nel tempo in cui la parola manca. Aggiustano crepe profonde tenendosi in disparte dal cinguettio tipico delle comari, danno senza chiedere nulla in cambio. Ci sono. Solo il pudore dei sentimenti si esprime sottovoce come il canto di una nenia che assicura la presenza discreta nelle ore difficili.
Non c’è solitudine né altro grigio sentore se la semina ha curvato la schiena sotto gocce di sudore a farsi testimonianza che il contadino di se stesso non potrà mai tradire.

Quando la stagione cede per la stanchezza, il progetto ammuffito di ritornare a casa diventa un forse, e neppure convinto. Dentro la valigia gli abeti diventeranno memoria di souvenir da scartare subito dopo il rientro, cosa resterà del progetto interrotto dello Straniero? Carta straccia utile a nessuno, diventerà rogo il suo sogno di aiutare il Monte a far crescere fruttuoso il suo mantello di smeraldo.

Si lasciano forse i luoghi benedetti dalla più intima intercapedine del cuore? Si diventa un elemento simbiotico con quell’angusto sentiero di bosco che orienta la bussola del futuro.

Lo scorrere lento della vita mi ha arricchita, il lungo inverno selvaggio mi ha portato amore e lutto, mi ha spellato le mani e spaccato le labbra, tolto il respiro lungo e il sonno, indebolito le ossa e seccato la pelle, ma dentro mi ha portato i rami secchi, mi ha reso giardino lussureggiante, robusta e piena di energia vitale, mi ha fatto lupo errante e mi ha donato ciò che avevo chiesto, il saper godere della poesia del minuscolo, che in cima a una montagna dura un po’ più che altrove“.

Fonte foto: Pinterest