I voti e i pacchi di pasta: l’ennesimo scandalo e il tracollo della democrazia

I voti e i pacchi di pasta: l’ennesimo scandalo e il tracollo della democrazia

PALERMO – “Mi sono fatto la convinzione che la democrazia rappresentativa sia un metodo per metterlo in quel posto alla povera gente col suo consenso. Una truffa. Noi votiamo gente che non ci rappresenta affatto, chè una volta messo il deretano sulla cadrega pensa solo al miglior modo per conservarla. Al momento del voto vengono da noi a mendicare il consenso, strisciano come vermi -del resto sono vermi- per pietire una crocetta sul loro nome plebeo, ammiccano come puttane per catturare la nostra attenzione, ma «passata la festa, gabbato lo santo», si dimenticano che sono stati eletti per essere al nostro servizio e anzi, dall’alto dei loro privilegi, ci guardano con arroganza come se invece che popolo fossimo paria, una casta inferiore il cui compito è quello di prosternarsi davanti ai loro augusti piedi. Nella democrazia rappresentativa noi paghiamo della gente perché ci comandi. C’è niente di più masochistico?”.

La riflessione di Massimo Fini sulla democrazia e sul sistema del voto appare quanto mai attuale alla luce del recente scandalo che ha colpito l’Assemblea Regionale Siciliana con due deputati regionali, Nino Dina dell’Udc e Roberto Clemente del Pid, finiti agli arresti domiciliari.

Fini non è nuovo ad accurate analisi volte a smitizzare il mito della democrazia rappresentativa, tanto che ci ha scritto su un libro (“Sudditi, manifesto contro la democrazia”) e si definisce fieramente antidemocratico.

Un sistema così inquinato, semplificando il pensiero del giornalista e scrittore, può essere realmente il migliore e il più rappresentativo della volontà popolare?

E dove c’è fame – come c’è in Sicilia in maniera atavica – c’è campo libero per “comprare” il voto per un pacco di pasta, per una ricarica al cellulare o per una promessa di un posto di lavoro.

E di promesse gli onorevoli ne avevano fatte tante a Giuseppe Bevilacqua, 45enne dipendente dell’Amat.

Ma non era un uomo qualsiasi: Bevilacqua aveva i contatti giusti con le persone giuste, aveva il controllo dei Caf e un ingente pacchetto di voti.

Pacchetto di voti comprati dallo stesso Bevilacqua con pacchi di pasta e altri generi alimentari che, di provenienza Ue, sarebbero dovuti andare alle famiglie povere. E qui entrano in gioco le associazioni che l’ex candidato al consiglio comunale di Palermo – primo dei non eletti con oltre 1000 voti – gestiva attraverso la moglie e la sorella per ricevere gli aiuti alimentari e distribuirli capillarmente a chi era in grado di garantire il proprio voto.

Un altro collettore di voti è rappresentato dal Caf: Bevilacqua ne controllava due e aveva entrature privilegiate con i boss, tra cui Tommaso Natale, Giuseppe Enea e Calogero Di Stefano.

Un mix considerato vincente e appetibile dai candidati all’Ars per le elezioni del 2012 e dalle intercettazioni telefoniche delle fiamme gialle è emerso un quadro inquietante.

A farsi avanti sono stati Nino Dina, Roberto Clemente e Franco Mineo. Esemplificative le telefonate di un entusiasta Giuseppe Bevilacqua a “mammà”: come da migliore tradizione meridionale l’uomo chiedeva consigli alla madre su come gestire i rapporti con i potenti onorevoli dell’Ars che bramavano il suo bacino elettorale.

Dina gli aveva promesso un incarico da 15mila euro per la sorella e anche per la moglie che non si sarebbe dovuta nemmeno presentare al lavoro, mentre Clemente aveva assicurato di lasciargli un posto al consiglio comunale.

Così – al di là delle responsabilità penali che saranno accertate nelle aule dei tribunali – emergono pesantissime responsabilità morali dei deputati regionali (Franco Mineo non riuscì ad essere rieletto nell’ultima tornata elettorale) che si sono resi protagonisti di una laida caccia al voto con i metodi più spericolati.

Il tutto sulla pelle dei siciliani che – allo stremo – vendono la propria libera volontà per un piatto di pasta. E allora – oggi più che mai – tornano alla mente le parole di Paolo Borsellino: “La rivoluzione si fa nelle piazze con il popolo, ma il cambiamento si fa dentro la cabina elettorale con la matita in mano. Quella matita, più forte di qualsiasi arma, più pericolosa di una lupara e più affilata di un coltello”.