La tigre di Noto di Simona Lo Iacono

La tigre di Noto di Simona Lo Iacono

La tigre è un felino senza predatore. Nel suo habitat si sente al sicuro perché sa che solo e soltanto l’uomo è suo nemico, anche lui di carne e di ossa ma non è suo parente. Nella sfida contro la tigre vince la tigre. In natura ci sono animali che per dare potenza al vigore mediocre aggiungono al loro nome l’autorevole qualifica di tigre. E diventano sovrani della loro specie. La tigre è un un bellissimo animale dal mantello ora bianco, ora dorato, fine velluto attraversato da una rete di striature nere, utile promemoria ai potenziali graffi sulla pelle nemica, marchio di una mansuetudine latente ma disponibile al cambiamento feroce.

Simona Lo Iacono magistrato e scrittrice, due fari accesi sulla stessa cattedra di professionalità e talento, nel 2016 finalista del Premio Strega con il romanzo “Le streghe di Lenzavacche”, lo scorso mese di aprile ha pubblicato per la casa editrice Neri Pozza “La tigre di Noto”, un romanzo-biografia sulla vita di Marianna Ciccone, icona inconsapevole del suo tempo per la passione scientifica infiltrata nelle vene, nonché per l’audacia dimostrata al cospetto della divisa nazista. Marianna Ciccone nacque a Noto nel 1891, in una Sicilia dove le uniche ambizioni permesse a una donna erano il matrimonio e partorire figli. Meglio se maschi.

L’attitudine allo studio si era rivelato nei primi anni di vita di Marianna, una bambina sottile come un filo d’erba ma più determinata di una pianta rampicante sulla roccia ripida e malferma. All’alba del diploma la giovane Marianna, sorda al dissenso dei genitori, in compagnia di una valigia di pelle fedele custode del suo futuro, si trasferì a Roma per studiare matematica all’Università. Dopo Roma fu La Normale di Pisa la seconda tappa della sua formazione, merito di una borsa di studio nell’anno accademico 1916-1917.

L’unica donna in un singolare gineceo di uomini. I primi studi sulle teorie della luce, l’incipit della conoscenza scientifica nata dal manuale sulle intuizioni di Albert Einstein che Marianna aveva portato con sé sul treno per Roma, questi e altri elementi firmarono il passaporto per avventurarsi nel corridoio della ricerca. L’evoluzione dei suoi studi crebbe e approdò sulla struttura della materia e la spettrometria attraverso sperimentazioni di laboratorio. La meta era quella di quantificare le proprietà della luce mediante la misurazione delle onde elettromagnetiche.

La luce del cosmo analizzata al microscopio di laboratorio e dall’occhio umano di Marianna, il sinistro in disaccordo col destro, distintivo di un difetto fisico accettato con una serenità mentale innata. Marianna Ciccone fu una donna moderna per l’epoca in cui visse e per le successive, la sua vocazione allo studio è un testamento morale con la postilla di non lasciarsi mai distrarre dall’obiettivo pianificato dalla vocazione. Il tributo è paziente, nell’attesa c’è un vissuto tutto da compiere.

Perdersi equivale a precipitare in un incubo, un fantasma dell’inclinazione scagliato lontano dal sogno. Uno scempio di sé. Le prime fasi della seconda guerra mondiale sconvolsero i ritmi delle lezioni accademiche e con esse le ricerche scientifiche della Professoressa Marianna Ciccone, già laureata in matematica che, dopo aver conseguito la seconda laurea in fisica, fu nominata aiuto di Gerard Herzberg, un giovane professore dell’Istituto di Fisica della scuola di ingegneria a Darmstadt.

Nel 1935 la Germania fu la nuova tappa di studio e insegnamento di Marianna Ciccone. La collaborazione con il Professor Herzberg fu distesa, un laboratorio di conoscenze scientifiche e seme di un’amicizia devota al suo limite mai infranto, nemmeno la sera in cui il dipartimento di Fisica di Darmstadt organizzò l’annuale ballo di primavera, l’atmosfera propizia per dare voce ad una intimità rimandata da troppo tempo.

Intanto la guerra, l’onda anomala sempre più tsunami sull’umanità. Il primo obiettivo delle truppe tedesche obbedienti agli ordini scellerati di Hitler era colpire la dispensa del sapere del popolo ebreo, i libri. Una lapide per la cultura era motivo di un omicidio urgente. Distruggere la conoscenza per sterminare un popolo. La tigre di Noto affila i suoi artigli determinati a proteggere milioni di pagine dal delirio nazista, la Professoressa Marianna Ciccone impiega mesi e mesi a sotterrare volumi, certa che l’inchiostro sarà vitamina per un nuovo giorno contemplato in chissà quale calendario. La luce protagonista degli studi della Professoressa Marianna Ciccone stride con la sua femminilità all’ombra, quasi un castigo per una colpa, ma quale

Il suo grembo fertile ma culla vuota per disegno di Dio. La vita germoglia ovunque, quanti fiori dalla terra sterile? Quanta linfa dalle vene stanche? La maternità non va mai in pensione perché l’amore è un orologio senza ore, all’improvviso lo squillo in ritardo da mai. “Il 31 agosto 1943 Pisa fu bombardata. Questa volta all’allarme seguì un martellamento di colpi a raffica. Ero già pronta. L’università era vuota per il periodo estivo. All’interno c’ero solo io. Afferrai al volo la borsa, mi precipitai al rifugio di piazza dei Miracoli. Era stipato di donne e bambini. Poi, all’improvviso, qualcuno adagiò un corpo infagottato tra le mie braccia, pesava poco più della borsa, era in apparenza immobile ed estraniato, ma poco dopo si mosse. Eri tu“.

La lente di un microscopio scopre la sua modestia davanti allo sguardo innocente di una bambina che passa di mano in mano come se fosse merce da spedire, presto si accorgerà di essere il regalo mancato a tutti i compleanni di Marianna Ciccone, da quel momento una mamma.
La donna di scienza si raddoppia, quel fagottino in braccio si presenta come un’equazione matematica impossibile da risolvere con l’esito della lode. Il suo futuro a due voci e quattro mani non ha mai avuto uno spartito maestro.

Ogni pasto frugale è condiviso, il freddo di Rosa è curato con il cappotto di Marianna, la paura con carezze di conforto. L’ha chiamata Rosa quel petalo di figlia, in omaggio alla sua tata da cui negli anni siciliani ricevette generose premure di tenerezza e amore. La piccola Rosa è la terza laurea di Marianna Ciccone, una pergamena di pelle conferita da Dio, Magnifico Rettore dell’università umana.

Le fotografie raccontano il viaggio di un respiro, croce e resurrezione dentro una pellicola per il lampo di un momento, sul vecchio tavolino claudicante viene aperto il privilegio della memoria. L’età scandita da un vecchio album padre di fogli in bianco e nero interroga la chimica delle passioni, le mani rugose sfogliano la casa della luce sotto il microscopio del ricordo. Nel romanzo, l’onda elettromagnetica analizza le molecole che hanno partorito una grande donna.