Il Coronavirus, la quarantena e la rabbia impazza sui social: il “giornalista” come bersaglio

Tempi di Coronavirus, tempi di paure, incertezze, nervosismo e poca serenità. Tutti fattori che, inevitabilmente, si riflettono sull’umore della gente che, non potendo uscire di casa per prendere una boccata d’aria, decide di sfogare la propria rabbia sui social. Una rabbia che si riversa, in particolar modo, contro i media che ogni giorno pubblicano notizie per informare i cittadini riguardo ciò che sta accadendo nel mondo colpito dalla pandemia Coronavirus.

L’informazione, soprattutto in questo periodo di lockdown, sembra essere diventata la principale valvola di sfogo per la maggior parte degli utenti che sono (anche giustamente) stanchi di sentire notizie riguardanti contagi, morti per Covid-19 o con Covid-19. Allo stesso tempo però, gli stessi si arrabbiano quando si legge di qualche notizia diversa dall’argomento pandemia, chiedendosi come mai si parli di altro in un periodo del genere. Si grida al terrorismo quando vengono pubblicati dati allarmanti e al complottismo quando i dati dovrebbero dare ottimismo.

Insomma, ormai non sembra più andare bene nulla a coloro che vengono raggiunti dagli organi di informazione. Dai più autorevoli ai meno conosciuti, dal quotidiano nazionale al regionale, sotto ogni articolo pubblicato, la sezione deicommenti” sembra essere diventata un’arena di guerra a chi “la spara più grossa“, un attacco continuo al “giornalista terrorista“, al “governo incompetente“, a qualche fantomatico “complotto ordito contro l’umanità” e a tanti altri.

Che l’emergenza Coronavirus abbia contribuito ad accentuare un clima di insoddisfazione già presente da prima? Oppure è vero che alcuni giornalisti, forse, si devono ridimensionare scegliendo più accuratamente quali notizie sarebbe opportuno comunicare e quali invece no? Per rispondere a tali domande e analizzare meglio il problema ci siamo rivolti al Dottor Davide Ferlito, psicologo, che ha spiegato i diversi fattori che entrano in gioco nell’atteggiamento che assume la gente sui social.

Oggi, rispetto a un tempo, – ha dichiarato il Dottor Ferlito – è più facile esprimere il proprio punto di vista su qualunque tematica e, di conseguenza, manifestare disappunto e critica a maggior ragione verso chi si fa promotore di specifiche notizie. Senza generalizzare, occorre considerare due aspetti di grande rilevanza. Innanzitutto, per com’è oggi strutturata la comunicazione, è più facile per chi desidera stare in vetrina porsi sotto i riflettori. Manifestare apertamente la propria insoddisfazione, talvolta in maniera del tutto acritica, potrebbe, quindi, porsi come potenziale espressione di bisogni narcisistici, ancorché quest’ultimi possano non rappresentare una diretta manifestazione del relativo disturbo di personalità. In seconda istanza, attaccare i media può configurarsi come una modalità con cui alleggerire lo stress vissuto, una sorta di scarico emotivo avente un effetto quasi catartico.  Attaccare all’esterno, quindi, per difendersi all’interno“.

Una sorta di autodifesa dell’utente, dunque, potrebbe essere una delle risposte ai vari atteggiamenti, ma ciò non spiega, comunque, la mancanza di coerenza in certi tipi di critiche a spada tratta. In tal senso, potrebbe entrare in gioco la situazione di disagio attuale. “È chiaro come il periodo che stiamo vivendo, con la costante paura del contagio e l’isolamento forzato, possa rappresentare una condizione fortemente stressogena che va, inevitabilmente, a incrementare i vissuti descritti. Ci troviamo, infatti, spaesati di fronte a una situazione mai vissuta e siamo costantemente bombardati da notizie, spesso contraddittorie. Questo incrementa lo stato di confusione che risulta di difficile gestione e con esso la nostre paure. Essendo, inoltre, il virus un nemico invisibile, contro cui ci sentiamo impotenti, non è inusuale andare alla ricerca di un antagonista tangibile e i media si prestano facilmente a ricoprire tale ruolo“.

Dunque, la quarantena gioca un ruolo fondamentale nella psiche dei più. Non è solo un problema di popolazione però, un po’ di mea culpa è giusto che venga fatto anche da certi giornalisti, che scelgono di allarmare più che informare. Il virus può distruggere e cambiare vite, ma non può e non deve intaccare la deontologia professionale. Non si tratta, inoltre, di un discorso che tocca solo l’utenza italiana, anzi “Si tratta di un fenomeno che va oltre ogni confine geografico e che riguarda, – conclude il Dottor Ferlito – per lo più, il nostro essere umani. Tutti potenzialmente possono finire preda di situazioni simili, in relazione anche alle proprie risorse di gestione emotiva“.

Insomma, tutti dobbiamo collaborare, nella vita di tutti i giorni e ancor più nella situazione attuale. Dove da un lato pecca un certo tipo di giornalismo, dall’altro pecca anche la pressione degli stessi fruitori dell’informazione, che credono che dietro la lotta al Coronavirus ci siano in prima linea solo i soliti volti noti (giustamente elogiati e ai quali va ed è arrivato anche il ringraziamento da parte dei giornalisti), mettendo da parte il grande lavoro che ogni giornalista che si rispetti ogni giorno svolge per informare, far conoscere, raccontare storie di vita quotidiana e, perché no, fornire anche 5 minuti di svago e lettura ai propri lettori, ovviamente nel limite delle situazioni in cui si può parlare di distrazione e di svago.

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