“Mumble Mumble” e l’ansia da prestazione di un figlio d’arte

“Mumble Mumble” e l’ansia da prestazione di un figlio d’arte

CATANIA – Un racconto ironico, irriverente, scanzonato e a tratti grottesco quello di “Mumble Mumble- ovvero confessioni di un orfano d’arte”, scritto da Emanuele Salce e Andrea Pergolari e diretto dallo stesso Salce, che dal 2009 fa tappa nei teatri di tutta Italia  narrando da un punto di vista assolutamente innovativo e accattivante la condizione non sempre troppo privilegiata di figlio d’arte con due cognomi importanti da gestire, come quello del padre Luciano e  quello di Vittorio Gassman, marito della madre Diletta D’Andrea e padre putativo. 

L’atto unico si divide in tre momenti il racconto dei due funerali dei suoi due papà con le gesta di alcuni dei presenti che in quei giorni lasciarono il segno per la loro finta “affectio” di circostanza e la figuraccia a colpi di lassativi in un museo di Sidney, con una bionda australiana che lo accetterà ed amerà per ben cinque anni dopo quell’infelice e non profumato primo incontro.

Sul palco del Must Emanuele Salce, con una recitazione raffinata e mai fredda, apre il libro dei ricordi rileggendo momenti di vita intimi e personali facendoli rivivere sulla scena come se la lancette dell’orologio andassero magicamente indietro e tra emozioni e sentimenti contrastanti poco più che ventenne riceve la notizia della morte di papà Luciano e già trentenne perde Vittorio Gassman.

A fare da grillo parlante, da voce della coscienza l’attore Paolo Giommarelli che da spettatore e regista o semplice provocatore passa con estrema facilità dai versi di Achille Campanile a Francesco Petrarca fino ad una breve dissertazione colon rettale sulla costipazione, come nella fase del terzo momento dello spettacolo in cui Salce, con grande autoironia, si libera finalmente di tutto ciò che aveva mangiato in Italia e nel suo viaggio in Australia. 

Delicato il momento in cui le voci dei due maestosi padri riecheggiano nella sala grazie ad un messaggio rimasto nella memoria di una vecchia segreteria telefonica, come a voler simboleggiare una presenza silenziosa e costante accanto a quel figlio, soprannominato mumble mumble, ansioso di essere all’altezza di quell’eredità paterna da portare avanti.