Lavori di ristrutturazione alla casa coniugale: in caso di separazione, si ha diritto al rimborso?

Lavori di ristrutturazione alla casa coniugale: in caso di separazione, si ha diritto al rimborso?

In costanza di matrimonio sappiamo che il bene materiale certamente più importante è la casa familiare: il riferimento essenziale dove creare la propria famiglia e far crescere i figli. Accade spesso che gli immobili richiedano dei lavori di ristrutturazione più o meno importanti che in molti casi vengono ad essere commissionati da un solo coniuge che mette i soldi di tasca propria per l’esecuzione di tali lavori. La domanda pertanto oggi che ci poniamo è la seguente: SE SUCCESSIVAMENTE A TALI LAVORI INTERVIENE UNA SEPARAZIONE, È POSSIBILE PER IL CONIUGE CHE HA PAGATO TALI SPESE, CHIEDERNE UN RIMBORSO TOTALE O PARZIALE?

Su tale argomento la Cassazione si è espressa numerose volte, in senso ad oggi univoco, essendo tale situazione spesso motivo di attrito e di battaglie giudiziarie in Tribunale. Vediamo in che modo.

PREMESSA

Quando interviene la separazione personale tra i coniugi si scioglie anche la comunione legale, vale a dire il regime patrimoniale legale della famiglia (art. 191 c. 1 c.c.).
La legge dispone che ciascun coniuge sia tenuto a rimborsare all’altro le somme prelevate dal patrimonio comune ed impiegate per fini diversi dal soddisfacimento dei bisogni familiari (art. 192 c.c.), intendendo per bisogni familiari le spese per il mantenimento della famiglia, per l’istruzione e l’educazione dei figli e in generale ogni obbligazione contratta nell’interesse della famiglia. È spontaneo dunque chiedersi: le spese di ristrutturazione, rientrano nei “bisogni familiari”?

LA GIURISPRUDENZA

La Cassazione più recente esclude l’esistenza di un diritto del coniuge non proprietario del bene ad ottenere un’indennità per i lavori eseguiti a proprie cure e spese. Infatti, secondo tale giurisprudenza, le opere per le quali si chiede il rimborso sono, in realtà, «finalizzate a rendere più confacente alle esigenze della famiglia l’abitazione messa a disposizione» da uno dei due coniugi ed impiegata come casa comune; pertanto, le spese sostenute da uno di essi devono ritenersi compiute per il soddisfacimento dei bisogni familiari.

Al contempo però, in alcuni casi, ulteriori sentenze di Cassazione statuiscono che, nel caso in cui tali ristrutturazioni abbiano aumentato il valore patrimoniale dell’immobile del coniuge esclusivo proprietario, l’altro coniuge ha il diritto ad un equo indennizzo, ai sensi dell’art. 1150 c.c., quale compossessore (nel caso dell’altrui piena proprietà).

Dunque una importante distinzione, quella eseguita dai giudici di Cassazione, che permette in alcuni casi specifici, la possibilità di poter richiedere anche una parziale restituzione delle somme versate a titolo di ristrutturazione (che siano ovviamente dimostrabili e individualmente pagate), evitando cosi di dover perdere integralmente le somme “investite” per l’ammodernamento di un immobile ove, probabilmente, il coniuge non proprietario non potrà mai più rimettere piede!

Orbene, al lume di quanto sin qui esposto, emerge come sia necessario realizzare un contemperamento tra due diverse norme: da una parte l’art. 143 c.c. che impone l’irripetibilità degli esborsi effettuati e dall’altro l’art. 1150 c.c. che ammette il diritto del possessore al rimborso per le riparazioni, miglioramenti ed addizioni eseguiti.

In definitiva pertanto, nella generalità dei casi, le spese eseguite da uno dei coniugi a titolo di ristrutturazione non potranno essere oggetto alcuno di rimborso, in quanto da considerarsi spese eseguite per i bisogni familiari. In determinati casi, ossia il coniuge non proprietario che esegua di propria tasca delle spese di ristrutturazione che accrescano notevolmente il valore dell’immobile, quest’ultimo potrà avere diritto al rimborso di una parte di tali somme, ai sensi dell’art. 1150 c.c., purché dimostri che tali esborsi non siano avvenuti per il mero soddisfacimento di un interesse familiare.