Cassazione: niente mantenimento al figlio maggiorenne che lavora anche se percepisce un salario modesto

Cassazione: niente mantenimento al figlio maggiorenne che lavora anche se percepisce un salario modesto

Lo ha deciso la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, nell’ordinanza n. 19696/2019 con la quale ha accolto il ricorso di un padre che si era opposto al mantenimento dei due figli maggiorenni, come era stato stabilito in sede di merito.

La vicenda

In primo grado il Tribunale di Avellino pronunciava la separazione personale dei coniugi con addebito al marito e revocava l’obbligo di mantenimento gravante su quest’ultimo a favore dei figli maggiorenni poiché questi avevano cominciato a lavorare dimostrando capacità reddituale. La Corte d’Appello di Napoli però, adita dall’ex moglie, ristabiliva l’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni da parte del padre in quanto non autosufficienti economicamente né responsabili per la mancata acquisizione dell’autosufficienza.

Il ricorso

Il padre ricorre in Cassazione contro la sentenza della Corte d’Appello di Napoli con questi motivi:

– la Corte d’Appello non ha ritenuto che la proprietà di un’autovettura e di un furgone in capo ad uno dei due figli (utilizzati per lo svolgimento della sua attività lavorativa, tecnico del suono ai concerti per cui aveva preso la laurea breve) e la disponibilità gratuita, concessagli dalla società per la quale lavorava, di un’attrezzatura per la strumentazione musicale e per l’illuminazione dei palchi, attestasse la capacità lavorativa e l’indipendenza economica del figlio;

– il giudice d’Appello non ha considerato che l’altro figlio, negli anni 2008 e 2009, ha percepito un reddito di circa 500 euro mensili svolgendo un lavoro part time e che la successiva perdita dell’occupazione non comportasse la reviviscenza dell’obbligo del genitore al mantenimento.

La decisione

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso.

L’ingresso effettivo nel mondo del lavoro – spiegano gli Ermellini – con la percezione di una retribuzione sia pure modesta, ma che prelude a una successiva spendita della capacità lavorativa a rendimenti crescenti, segna la fine dell’obbligo di contribuzione da parte del genitore. E la successiva ed eventuale perdita dell’occupazione o il negativo andamento della stessa non comporta la reviviscenza dell’obbligo del genitore al mantenimento.

“Nel caso in esame – continua la Cassazione – la Corte d’Appello non ha valutato la conclusione da parte del figlio del percorso formativo i cui frutti egli utilizza in un’attività a carattere professionale, quale quella di tecnico musicale e assistente alla illuminazione di concerti , connotata dall’impiego di mezzi, propri e in comodato, di non modesto valore e che presuntivamente potrebbe costituire una fonte di reddito  idonea a garantire l’autosufficienza economica a chi la presta”.

Mentre, con riferimento all’altro figlio “la Corte d’Appello non ha valutato la circostanza  dell’acquisizione di una capacità lavorativa tale da assicurargli una retribuzione stabile nell’arco di due anni. Né la Corte ha preso in considerazione ulteriori e rilevanti circostanze quali l’effettività o meno della convivenza dei figli con la madre, l’età ormai ampiamente superiore ai trent’anni di entrambi i figli e il tenore di vita di cui dispongono. Su tali circostanze si sarebbe, invece, dovuto attivare l’onere probatorio gravante sulla richiedente il contributo al mantenimento (la madre n.d.r.)”.

Accolto il ricorso e cassata la sentenza impugnata, la parola passa dunque al giudice del rinvio.