Beni per 28 milioni di euro sequestrati a imprenditore palermitano

Beni per 28 milioni di euro sequestrati a imprenditore palermitano

PALERMO – Sequestrate due società che lavorano nel settore della vendita di autoveicoli, una società immobiliare, tre abitazioni, sei fabbricati ad uso commerciale e due terreni in Palermo e provincia, nonché disponibilità finanziarie, per un valore complessivo di oltre 28 milioni di euro. Ad eseguire l’operazione sono stati i finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Palermo, dando esecuzione ad un provvedimento emesso dal tribunale di Palermo, su richiesta della locale Procura della Repubblica.

A subire il sequestro è stato Rosario Castello, un imprenditore di sessantadue anni, originario di Villabate, il quale è stato condannato nel 1998 dalla Corte di Appello di Palermo per concorso in associazione a delinquere di stampo mafioso, perché ritenuto soggetto “a disposizione” della famiglia di Brancaccio – Corso dei Mille. A questa, nelle sua veste di commerciante di autoveicoli avrebbe procacciato, in passato, autovetture “pulite” da dare a latitanti, curando inoltre la ricerca di posti isolati e sicuri per gli incontri degli “uomini d’onore”.

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Un soggetto senza dubbio “pericoloso” e a conferma di questo sono arrivate le indagini che avevano portato alla cattura del noto latitante Lorenzo Tinnirello ma anche le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Pasquale ed Emanuele Di Filippo, Giovanni Drago, Pietro Romeo, Salvatore Spataro e Agostino Trombetta che lo indicavano come fiancheggiatore del sodalizio criminale.

Il sequestro eseguito nasce dall’attività investigativa del G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Tributaria della guardia di Finanza di Palermo, che ha rilevato un’evidente sproporzione tra i redditi dichiarati e le numerose acquisizioni patrimoniali e societarie effettuate nel tempo dal nucleo familiare dell’interessato.

In particolare, dagli accertamenti svolti dalle Fiamme Gialle, è emerso che le disponibilità economiche che il sessantaduenne dichiarava non avrebbero permesso l’effettuazione dei numerosi investimenti realizzati, tanto da far supporre che il gruppo imprenditoriale sia stato finanziato, almeno in parte, con il ricavato dell’attività delittuosa.