Reddito di Cittadinanza, il provvedimento che dimentica le persone? L’analisi della Fondazione Ebbene

Reddito di Cittadinanza, il provvedimento che dimentica le persone? L’analisi della Fondazione Ebbene

CATANIA – Da 7 anni Fondazione Ebbene opera per il contrasto alla povertà in tutto il territorio nazionale con un modello “integrato” che parte da Sud e incrocia, in tutta Italia, una realtà progressivamente e ineluttabilmente sempre più complessa.

Il Reddito di cittadinanza (RdC) è uno strumento strutturale talmente importante, da dover prendere posizione, da far sentire la voce di un’esperienza come la nostra, fondata su un modello concreto di prossimità e di integrazione.
L’universalità, la dotazione finanziaria, l’idea che a ogni persona venga assicurato quanto necessario per vivere offrendo anche opportunità di inclusione sociale è certamente la buona novella di un provvedimento che, purtroppo, si presta a a essere strumento per demolire il nostro già fragile sistema di welfare.

Procedendo con ordine, il RdC non è una misura per la famiglia
Condivisibile la posizione del Forum delle Associazioni familiari, 100 euro al mese non possono sostenere chi rappresenta il futuro del Paese, nessun beneficio ulteriore se un familiare è disabile e penalizzate quelle con un componente detenuto o che posseggono un autoveicolo. La misura è sfasata nella percezione dei bisogni in particolare di minori e donne.

Il RdC stravolge la Cittadinanza (attiva)
Il Reddito di cittadinanza, con la contemporanea previsione della “cittadinanza” e della “residenza”, taglia fuori tutti coloro (homeless, immigrati, ecc…) che vivono sul territorio italiano, ma sono privi di questi requisiti. Anche l’idea di legare la parola “Cittadinanza” al concetto di “reddito”, ipotizza che sia la presenza di un reddito a renderci cittadini. Questa associazione terminologica nasconde l’idea di assegnare titolarità e diritti solo a coloro i quali sono “abitanti o residenti in uno Stato del quale possiedono la cittadinanza avendone i conseguenti diritti e i doveri”.
Inoltre, in un contesto sociale nel quale occorre “fare fatica” per costruire stabilità e produrre benessere per sé e per gli altri, l’idea che ci possa essere un qualsivoglia sussidio che non costa fatica, è sbagliato.
Vero è che si dice “se non produci, se non t’impegni, te lo togliamo”, negando così il nesso fra “cittadinanza” e “diritto” su cui il sussidio si basa. Ma poi, questo impegno a cosa dovrebbe ancorarsi, se manca la consapevolezza e la convinzione che esiste un circuito virtuoso a cui dare un proprio contributo? Per chi o cosa ci si deve impegnare: per uno sviluppo che potrebbe non appartenermi? Per un benessere altrui? Per un beneficio transitorio e aleatorio? Per una solidarietà che non mi riguarda?
L’impegno, che è il cuore della Cittadinanza attiva, vincolo morale assunto verso qualcuno, è una necessità e/o qualcosa in cui si crede fermamente, è una promessa di futuro.
Le politiche pubbliche di sostegno ai cittadini più fragili, dovrebbero proprio partire da una considerazione delle capacità, delle competenze, delle sensibilità di cui ciascuna persona è portatrice e dargli un’opportunità per metterle a frutto.

Il RdC e il caos nei Comuni
Come opereranno i servizi pubblici e i Comuni, viste le difficoltà con cui hanno affrontato la stesura e l’attuazione dei Piani per l’inclusione sociale connessi al REI? Ma soprattutto come scioglieranno il nodo dei progetti sociali in cui i beneficiari del RdC dovrebbero essere impegnati? Viva preoccupazione dagli amministratori che abbiamo contattato, poiché la norma prevede che i Comuni dovrebbero “offrire al beneficiario, nell’ambito del Patto per il lavoro e del Patto per l’inclusione sociale, la partecipazione a progetti a titolarità dei comuni, utili alla collettività da svolgere nel medesimo comune di residenza, mettendo a disposizione un numero di ore compatibile con le altre attività del beneficiario e comunque non superiore al numero di otto ore settimanali”. I Comuni dovrebbero “entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, predisporre le procedure amministrative utili per l’istituzione dei progetti”.

Il RdC e il lavoro che non basta
La misura si presta a un grande equivoco di principio: il lavoro non è l’unico strumento di dignità.
Il nodo cruciale – a nostro modo di vedere – è che il RdC si orienta a essere una misura di politica attiva del lavoro, senza tener conto che:
– numerosi poveri non sono in condizioni di lavorare, o non lo sono immediatamente;
– in assenza di adeguate politiche finalizzate alla crescita dell’occupazione, attraverso forti investimenti, mancano i presupposti per generare nuova occupazione;
– le politiche di contrasto della povertà non hanno quale obiettivo primario l’occupazione, ma la costruzione di un Welfare di sostegno e di inclusione sociale.
Se mettiamo a confronto RdC e REI, il primo mostra tutta la sua debolezza se confrontato con una misura, ampia e articolata che mirava alla costruzione di un’infrastruttura sociale capillarmente diffusa, all’integrazione fra politiche sociali, sanitarie, educative e di attivazione lavorativa, alla messa a disposizione di risorse dedicate alla marginalità grave, alla povertà minorile e al sostegno dei neo-maggiorenni presenti nelle comunità educanti.
Ma tutto ciò si ferma all’ammaliante contributo economico, prevedendo solo labilmente ed estemporaneamente la stipula di un “Patto di inclusione sociale”, presente solo quando non può sottoscriversi un “Patto di lavoro” e non collegato alla rete di protezione sociale necessaria a sostenere i bisogni di una famiglia.
Per esemplificare: la mamma con un figlio sotto i 3 anni è esentata dall’essere disponibile al lavoro, ma in che modo il welfare sostiene quella mamma? Sostegni economici, servizi per l’infanzia, sostegno psicologico, mensa scolastica e così via…

Il RdC e il sogno dei Corpi intermedi
Rispetto al REI, il RdC sembra dimenticare i corpi intermedi, in una logica complessiva di disintermediazione a soffrire sono le tante forme di cittadinanza attiva organizzata che dal Dopoguerra e fino ad oggi hanno costituito l’elemento di coesione sociale e spesso l’ancora di salvezza di uno Stato che non riusciva ad affrontare le tante emergenze sociali.
L’idea che si debbano eliminare queste realtà e che ci si torni alla vecchia visione di Welfare State, confrontandosi direttamente con i cittadini, rende più debole lo Stato e, soprattutto, rende più deboli i cittadini.

ll RdC visto da Sud
Vero è che il RdC garantisce molto più di un lavoro nero, complicato pensare alla “marea umana” che potrebbe legittimamente procedere alle “dimissioni volontarie per giusta causa”, che troverebbe più conveniente il Reddito di cittadinanza “sicuro e tutti i mesi”, piuttosto che il reddito da lavoro “insicuro e spesso in ritardo”.
Altrettanto vero è che il RdC rischia di essere un biglietto verso il Nord perché forse solo con la “terza chiamata”, ovvero con un’offerta di lavoro su tutto il territorio nazionale, si potrà pensare a un impiego (non essendoci notoriamente lavoro al Sud).

Il RdC e la persona al centro
Insomma, è evidente che la povertà per il Governo è solo la mancanza di lavoro del singolo individuo adulto. Senza investimenti sulle persone e con le persone, senza investimenti produttivi stabili, le politiche pubbliche che apparentemente puntano all’inclusione attraverso il sussidio, sono destinate a essere perdenti, a produrre cittadinanza passiva, a allargare la platea di cittadini che rimangono in attesa del “prossimo sussidio”.
Un po’ come avviene secondo logiche solo clientelari, costruendo politiche “attive” del lavoro che sono solo produttrici di precariato, di sfruttamento, di falsi miti e speranze.
La scoperta delle potenzialità di ogni persona è la grande scommessa per realizzare la cittadinanza attiva. Dare valore a ciascuno secondo il suo valore: nessuno “scarto”. Ce lo ha ricordato anche recentemente il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Il timore, dunque, è che il profilo del Reddito di Cittadinanza adottato si riveli la strada sbagliata per rispondere alle esigenze dei poveri, senza peraltro raggiungere gli obiettivi di incremento occupazionale che auspica. Possiamo attenderci un affannoso assalto all’affascinante “card”, anche con una superficialità e un’inconsapevolezza che emergeranno al momento in cui dovranno sottoscriversi gli impegni.

Comunque vada, secondo l’associazione Dabbene, se non si corre ai ripari, se non si ascoltano le esperienze di chi ogni giorno incontra i poveri ed i loro bisogni, a farne le spese saranno proprio i poveri, quelli che la norma esclude e quelli che faranno fatica ad accostarsi agli Uffici postali o ai CAF per attivare la misura, quelli per cui il reddito non diventerà mai un diritto.

Immagine di repertorio