Mafia carnefice: i conti non sono ancora chiusi

Mafia carnefice: i conti non sono ancora chiusi

QUESTO ARTICOLO FA PARTE DEL CONCORSO DIVENTA GIORNALISTA, RISERVATO AGLI STUDENTI DELLE SCUOLE SUPERIORI DELLA PROVINCIA DI CATANIA.

Forse abbiamo dimenticato il modus operandi mafioso di un’organizzazione criminale nota col nome di “Cosa Nostra”.

Questa organizzazione criminale viene identificata col concetto di famiglia, i cui membri sono tutti complici e collaborano tra loro, al fine di compiere atti delittuosi. Ultimamente, di rado, sentiamo parlare di omicidi compiuti da “Cosa nostra”, in quanto questa organizzazione criminale ha assunto delle connotazioni più distinte, troviamo i suoi adepti, i “mafiosi”, in qualunque ambiente, perché essa è talmente radicalizzata nel sistema, da permettersi di agire alla luce del sole, in base a quanto detto dal magistrato Antonio Ingroia: “abbiamo oggi una mafia più civile ed una società più mafiosa”. Prima, però, “Cosa Nostra” non si creava molti problemi a “stendere” chi le pestava i piedi, come i giudici Falcone e Borsellino, che, arditamente, hanno combattuto legalmente la mafia, cercando di sconfiggere la corruzione, che impelagava nei vertici dello Stato; il vice questore aggiunto Giorgio Boris Giuliano e molti altri uomini di Stato, i quali con sprezzo del pericolo hanno adempiuto senza riserve di energie al proprio dovere.

Tuttavia essi furono traditi anche da loro simili, persone il qui compito è quello di salvaguardare la Patria e la sua purezza, le cosiddette ” talpe”.

Purtroppo i “mafiosi” non sono stati solo i carnefici di questi servitori dello Stato, ma anche di gente “normale”, come padri, figli e fratelli, che magari non avevano intenzione di sottomettersi, per una questione di integrità o di ribellione.

Questo meccanismo si è dilungato per decenni, fin quando alcuni componenti della “famiglia”, vennero arrestati. Ricordiamo il più noto esponente Salvatore Riina, considerato il capo dell’organizzazione dal 1982 fino al suo arresto, avvenuto il 15 gennaio 1993, e Bernardo Provenzano, membro di Cosa nostra e considerato il capo dell’organizzazione a partire dal 1995 fino al suo arresto, avvenuto nel 2006.

Il 5 maggio 2018, a trenta anni di distanza viene arrestato Rosario Pitarà, un esponente mafioso dei Cursoti Milanesi, accusato dell’omicidio di Gaetano Salici. La vittima è stata uccisa con numerosi colpi di arma da fuoco la sera del 2 agosto 1987, orientativamente intorno alle  19.15 in via Lazio, nel rione di Nesima Superiore, Catania. Lo stesso 2 agosto, gli operatori di una volante sorpresero Giovambattista Guglielmino in via Barsanti, mentre stava incendiando una Fiat Uno. Quest’ultimo venne condannato alla pena di 16 anni e 6 mesi di reclusione, con l’ accusa di concorso nell’omicidio del Salici.

L’omicidio di Salici sarebbe stato deciso da Pitarà, in base a quanto riferito dai collaboratori di giustizia alla procura della Dda di Catania e alla squadra mobile della questura di Catania. Questo avvenimento dimostra  che ancora oggi ci sono omicidi che gridano vendetta e che solo con la presenza costante dello Stato sul territorio è possibile estirpare il bubbone.

Giuliano Longo

Classe IV Sez. B classico – I.I.S. Concetto Marchesi, Mascalucia