Amato per 8 mesi, ucciso in 3 giorni: la storia di Giuliano

Amato per 8 mesi, ucciso in 3 giorni: la storia di Giuliano

CATANIA –Stava bene, non aveva nessun motivo per morire”, eppure Giuliano, un gatto di 2 anni, dopo appena 3 giorni in preaffido è stato soppresso. A raccontare la sua storia è la dottoressa Sonia Lotta, volontaria del Comune di Catania e referente di una colonia felina regolarmente riconosciuta dal 2012.

Ho trovato Giuliano nell’agosto del 2017, aveva avuto un incidente stradale. L’avevo portato in una clinica di Mascalucia, dove aveva subito un intervento di amputazione della coda. L’impatto gli aveva causato una lesione del midollo spinale che gli aveva provocato una disfunzione neurologica della vescica a causa della quale andava svuotato manualmente. In quanto volontaria lo avevo fatto microchippare a nome del Comune di Catania all’Asp: avevo chiesto ai medici di aiutarmi, visto che non sapevo eseguire la manovra per svuotarlo, ma mi aveano risposto di fargli fare l’eutanasia”.

Da lì per Sonia era iniziata la ricerca di persone capaci di aiutarla e di insegnarle il necessario per permettere a Giuliano di vivere una vita normale. Due settimane dopo aveva incontrato Giovanni Mela, volontario che si è spesso occupato di gatti disabili e che si è preso carico dell’animale.

Sonia aveva, quindi, deciso di non assecondare i medici: “Ho preferito una gestione mia. Giuliano è risultato in salute, non ha avuto bisogno di farmaci. 3 volte al giorno Giovanni lo svuotava. Il gatto era felice, correva, saltava, non aveva problemi. Ha vissuto così per 8 mesi”.

 

 

I due volontari hanno cercato una casa per Giuliano, per dare un lieto fine alla sua storia. Così ad aprile, dopo aver letto un appello su Facebook, li ha contattati P. F., dicendosi innamorata del gatto: “Hai presente quando vedi un gatto e capisci che è il tuo? Ecco, Giuliano sarà il mio gatto”.

La signora sembrava la candidata perfetta: già padrona di altri cani e gatti, aveva detto di avere una convenzione con una clinica a due passi da casa sua, in provincia di Lodi, con cui aveva stipulato un’assicurazione grazie alla quale, se le fosse accaduto qualcosa, qualcuno si sarebbe preso cura dei suoi animali: “Assicurò che avrebbe portato Giuliano in clinica più volte al giorno per lo svuotamento, fino a quando non avesse imparato”.

Il 19 aprile Giuliano aveva raggiunto, dopo un volo in aereo, la sua nuova casa. Ma, in poche ore, l’adottante in prova aveva iniziato a parlare di una terapia sperimentale. “Ho fatto ricerca per alcuni anni– spiega Sonia-, so cosa significa testare dei farmaci e so che se non fossi stata certa che quel farmaco fosse stato efficace, non avrei distrutto l’equilibrio di un gatto che stava bene e non ne aveva necessità. Per questo le ricordai di averle dato un animale di cui conosceva l’handicap, con la promessa che avrebbe imparato a gestirlo e che se non se la fosse sentita, lo avrebbe restituito”.

Il gatto, infatti, era in preaffido, nulla era definitivo, proprio perché la volontaria voleva essere sicura di aver trovato la casa perfetta per accoglierlo e garantirgli una vita sana e serena: “Sarei andata a riprenderlo in qualunque momento, se qualcosa non mi avesse convinto”.

La terapia sperimentale di cui aveva parlato P. F. prevedeva inoltre l’elettrostimolazione: “Pur di farlo urinare avrebbe fatto di tutto– afferma Sonia-. Era diventato un caso clinico. Il gatto era stressato perché sottoposto a visite continue da diversi medici chiamati appositamente per lui. Però lei mandava sue foto e diceva che stava bene”.

Il giorno dopo la donna aveva informato Sonia che Giuliano era stato ricoverato, sedato e cateterizzato: “Ero sbigottita, non aveva bisogno di queste prove sperimentali”. Il gatto aveva anche subito la prima seduta di elettrofrequenza e, secondo P.F., quella sera avrebbe urinato da solo. Eppure la volontaria le aveva vietato di iniziare qualunque cura, se prima non le avesse fatto leggere le carte in merito; documenti che non sono mai stati inviati: “Disse che aveva solo tentato di salvarlo, da cosa non so visto che Giuliano era in salute”.

Sonia a quel punto aveva agito: “La mattina del terzo giorno mandai una raccomandata alla clinica (in quanto tutor del gatto, con allegati i documenti del microchip e della colonia felina) chiedendo di fermare ogni trattamento, senza prima avere il mio consenso. Ma lo avevano già soppresso. Quando chiamai mi dissero che la signora aveva portato Giuliano durante la notte, in agonia, e che aveva firmato il consenso per farlo sopprimere”.

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Un epilogo inaspettato per la volontaria: “In lacrime la chiamai e le chiesi come avesse potuto ammazzare il gatto in 3 giorni; mi ripeté che Giuliano era con lei e mi inviò vecchie foto. Una bugia proseguita fino a quando Giovanni telefonò in clinica e confermarono quanto fosse accaduto. Lei dovette cedere ma non disse mai ‘mi dispiace’”. “Reagì con freddezza e disinteresse”, sottolinea Giovanni.

Sonia aveva diffidato la clinica spiegando a chi apparteneva il gatto, come testimoniato dal microchip e dall’anagrafe provinciale. I medici, preoccupati, hanno impedito la restituzione del corpo. Fino ad oggi non hanno fornito nessun documento: né certificato di morte, né cartella clinica.

Come ha potuto la signora presentarsi come proprietaria del gatto ed esercitare diritti che non aveva? Sonia e Giovanni spiegano che nel certificato di buona salute, che il veterinario aveva stilato prima della partenza, erano presenti i dati della donna perché a lei era stato intestato il libretto sanitario di Giuliano (come avviene per prassi prima di ogni adozione): “Noi, però, abbiamo esibito alla clinica il certificato dell’Asp veterinaria con nomi e cognomi, che ha valore per identificare una persona”. Certificato di buona salute e certificato di proprietà, infatti, sono documenti diversi, “eppure mi dicevano che per loro la proprietaria era P. F., in virtù del certificato da lei presentato– spiega Sonia-. Di noi, del preaffido, del microchip e del Comune di Catania, la clinica dice di non aver mai saputo nulla. Anzi, il veterinario ci ha riferito che la signora ha raccontato di aver preso Giuliano con sé durante un viaggio in Sicilia per salvarlo dall’eutanasia”.

La volontaria ha fatto quel che poteva per Giuliano, adesso vorrebbe che il Comune si occupasse del suo caso e facesse almeno rientrare il corpo “a spese mie; ho mandato pec alla responsabile dell’ufficio progetto animali e al sindaco: ancora non so niente”.

Giovanni precisa che, se il microchip fosse stato intestato a nome di uno dei due volontari, l’animale sarebbe dovuto rientrare immediatamente e avrebbero agito per vie legali, perché “Giuliano poteva vivere altri 10 anni”.