Il presidente Musumeci intenzionato a chiedere 600 milioni allo Stato per raddrizzare il Bilancio regionale

Il presidente Musumeci intenzionato a chiedere 600 milioni allo Stato per raddrizzare il Bilancio regionale

PALERMO – Ogni giorno che passa, le falle che affiorano in tutti i settori della Cosa pubblica regionale diventano sempre più ingombranti e tali da costringere il presidente Musumeci a chiedere 600 milioni allo Stato per cercare di sopperire alle gravi carenze finanziarie o, quanto meno, a garantire i servizi primari.

La visione sconcertante del mal funzionante apparato plurisettoriale dei Servizi (con la recente doccia fredda che salta fuori con impeto in questi giorni come quella che mancano fra le 13 mila risorse umane, ovvero i regionali, figure come avvocati, geologi e ingegneri) non è, chiaramente, da imputare al Governo regionale di oggi, ma ad una vera e propria escalation di incuria che si è cronicizzata, di lustro in lustro legislativo regionale. In termini papali papali e di piazza: “Insomma … sa n’ à futtutu i sordi senza fari nenti!”.

Adesso, per correre ai ripari, la Regione non si ferma a chiedere aiuti allo Stato centrale a “usu questua”, ma a pretendere quei diritti finanziari consolidati che spettano alla Sicilia.

Per essere più chiari, il Governo regionale di adesso rivuole indietro buona parte delle accise versate alle Casse dello Stato, perché la Regione Siciliana (persino con il vanto di essere Autonoma e a Statuto speciale) non solo è stata ridotta sul lastrico con un buco di 8 miliardi di euro nel proprio bilancio, ma anche di essere stata oggetto di un’allegra ed irresponsabile gestione, a cura di precedenti governi.

La mala gestio politica, tutta e nient’altro che siciliana, è tipica della cultura del “muru vasciu” ed è avvenuta nel corso dei lunghi anni trascorsi, con avvenimenti sconcertanti, come la scomparsa persino del Banco di Sicilia, uno degli Istituti di credito più antichi dello Stivale sorto nel lontano 1849, dalle ceneri del Banco delle Due Sicilie, provocate a loro volta dai moti rivoluzionari del 1848 ed ancora, nel 1867, con la Unificazione italiana, venne riconosciuto quale Istituto di emissione fino al 1926 e con l’ approvazione dello Statuto Siciliano, ufficializzato quale Istituto di Credito di diritto pubblico, con poteri di emettere anche moneta propria. Negli anni 90, il Banco di Sicilia, sempre per mano della cattiva politica regionale e con l’avallo della Banca d’Italia, venne dato in pasto al Banco Roma per poi essere divorato definitivamente da Unicredit. Che brutta fine!

Ma adesso torniamo ai problemi attuali, ad esempio, alla Sanità pubblica. Da vari sondaggi risulta che, ancora oggi e più che mai, molti isolani vanno al nord e persino all’estero a curarsi; qui la malasanità regna ancora sovrana: dall’evoluzione tipo “far west” nei pronto soccorso e dalle violenze nelle guardie mediche, siamo arrivati ad una più che evoluta malasanità, alla chiusura di interi reparti, ad accorpamenti e riduzione di posti letto, alla carenza sempre crescente di personale medico e paramedico e quel che risulta più grave è la chiusura di reparti ospedalieri in grosse realtà urbane, causando disagi a non finire e per citarne qualcuna, senza bisogno di andare lontano da Catania, come Giarre, Bronte, Biancavilla e Paternò.

Adesso si è aggiunto un altro problema sociale: la paura di possibili aggressioni nelle strutture ospedaliere e sanitarie espressa anche dagli operatori del settore. Una preoccupazione sociale che richiama la necessità della presenza dei militari dell’Esercito, come fu negli anni ’90 con l’Operazione Vespri Siciliani, a seguito delle famose stragi di Capaci e Via D’Amelio.

Due domande sorgono spontanee, la prima: “Ma in Sicilia, lo Stato c’è ancora?” e la seconda “Ma la resilienza di Musumeci ce la farà a parare i colpi per i prossimi cinque anni e riuscire a sprugghiari ’sta maliritta matassa?”.

Alla prossima, sempre rimanendo nel tema della politica del “Muru vasciu”.