Martin Luther King: 50 anni fa moriva il simbolo della lotta contro la segregazione razziale

Martin Luther King: 50 anni fa moriva il simbolo della lotta contro la segregazione razziale

Era il 4 aprile del 1968: un proiettile partito da una Remington 760 calibro 30-06 colpì e uccise l’attivistapremio Nobel per la pace, simbolo della lotta contro la discriminazione degli afroamericani, il reverendo Martin Luther King Jr.

King si trovava sul balcone al secondo piano del Lorraine Motel di Memphis (Tennessee) e stava intrattenendo una piacevole conversazione con il musicista Ben Branch. Gli aveva appena chiesto di eseguire l’inno religioso “Take My Hand, Precious Lord” durante il discorso che avrebbe dovuto pronunciare l’indomani, quando alle 18,01 il proiettile mortale lo colpì in pieno volto.

Sapeva di essere in grave pericolo: era stato minacciato più volte, insieme alla moglie e ai figli, e sapeva di poter essere ucciso da un momento all’altro. Ciò nonostante, continuava a soggiornare in comuni motel piuttosto che in alberghi più sicuri: non voleva “voltare le spalle” ai milioni di afroamericani che vivevano in povertà e voleva sentirsi il più vicino possibile a loro, nonostante fosse sempre stato un borghese. Quel coraggio però gli costò la vita: chi lo voleva uccidere era consapevole di non trovare molti ostacoli sul suo cammino.

L’assassino, James Earl Ray, sapeva che quella notte King avrebbe alloggiato al Lorraine e sapeva anche che avrebbe avuto possibilità di agire nel momento in cui il reverendo era più debole, senza scudi umani o guardie a proteggerlo. Ray aveva programmato tutto fin nei minimi dettagli: fuggito l’anno prima dal carcere del Missouri, aveva trascorso i suoi primi mesi di libertà a comprare armi sotto falso nome e quel 4 aprile, sempre sotto pseudonimo, si era presentato alla pensione di Bessie Brower, che si trovava nella stessa strada del luogo in cui alloggiava King.

Descritto dalla proprietaria e dagli ospiti della pensione come un uomo piuttosto distinto, anche se un po’ strano, Ray non sembrava il tipo di persona capace di compiere un omicidio. Eppure l’uomo ha agito in maniera fredda e precisa, ha finito il suo lavoro e ha lasciato la pensione come se nulla fosse accaduto.

Sparare un proiettile è un’azione di pochi secondi, ma quel particolare proiettile ha creato una ferita permanente. Dopo la morte di Martin Luther King, la lotta degli afroamericani ha cambiato volto: “La lotta pacifica è morta con il reverendo King”, ammettevano molti dei suoi sostenitori, che nei giorni successivi all’omicidio scesero per le strade del Tennessee, dell’Alabama, di Washington e di diverse città statunitensi e protestarono con violenza per chiedere con forza quello che il dottor King aveva cercato di ottenere con il dialogo e la diplomazia.

Certamente il lavoro di Martin Luther King aveva già prodotto dei risultati: il Civil Rights Act, che aboliva la segregazione; il premio Nobel per la pace del 1964, che aveva legittimato la lotta di King e l’aveva resa nota a tutto il mondo; i dialoghi con il presidente Johnson.

Tutto ciò però non bastava: erano ancora troppe le discriminazioni, i soprusi e le lotte da condurre, come quella per ottenere l’iscrizione alle liste elettorali e il diritto di voto. Tante, troppe persone, molte delle quali rimaste “anonime” hanno rischiato o perso la vita per questa lotta, ma King non ha mai dimenticato nessuno: in ogni discorso menzionava ognuno di loro. Sperava di vedere quel giorno in cui ci sarebbe stata la libertà vera per tutti, ma purtroppo non ci riuscì mai.

Sulla sua tomba è stata incisa la scritta Free at last (“libero alla fine“): erano le semplici parole di una canzone spirituale afroamericana, ma hanno assunto un significato molto più ampio quando King le ha inserite nel suo discorso più celebre. Si trattava del discorso al Lincoln Memorial del 28 agosto 1963, quando il reverendo gridò a gran voce le parole per cui tutti oggi lo ricordano: “I have a dream” (“Ho un sogno”). In quel sogno ci hanno creduto milioni di persone, e non solo afroamericani, e ancora oggi ci credono in tanti.

La situazione della comunità afroamericana oggi è cambiata negli Stati Uniti: ciò nonostante, alcuni fatti recenti hanno confermato che non solo la lotta non è ancora finita, ma che ora ha cambiato volto e protagonisti, visto che coinvolge molte più comunità. La lotta non si limita agli Stati Uniti, ma si estende a qualsiasi Paese dove non tutti hanno gli stessi diritti, per un motivo o per un altro.

Fin quando queste situazioni di disparità continueranno ad esistere, non sapremo mai se chi ha creduto nella lotta di King vedrà il proprio sogno realizzato, ma fortunatamente, in un mondo pieno di violenza e disparità, esiste ancora chi combatte pacificamente per la libertà e l’uguaglianza.