Sant’Agata Li Battiati, al via Cineforum: primo appuntamento con il “Documentario Antropologico” – VIDEO

Sant’Agata Li Battiati, al via Cineforum: primo appuntamento con il “Documentario Antropologico” – VIDEO

SANT’AGATA LI BATTIATI – Si terrà giovedì 22 marzo 2018 alle ore 17,30 il primo appuntamento con il Cineforum ne “La Casa degli Originali Talenti”, in piazza G. Falcone, 1 a Sant’Agata Li Battiati, in provincia di Catania.

Si partirà con la proiezione del film “Documentario Antropologico”, che darà il via a una programmazione di Cineforum con il coinvolgimento del Laboratorio di Cinema, dell’Organizzazione di Volontariato Mettiamoci in Gioco, Triskele e l’Amministrazione Comunale di Sant’Agata Li Battiati.

Per l’occasione, il Sindaco, dottore Marco Rubino, parlerà di “Battiati Cult”, ovvero gli eventi culturali a Sant’Agata Li Battiati.

Le storie, raccontate con interviste ai protagonisti e scene degli attori siciliani (Federica D’Ambra, Domenico Fiore, Carlo Barbera, Natalia Silvestro, Gianni Sciuto, Giuseppe Scaglione, Francesco Fichera Antonio Zappalà ed altri), sono presentate dall’attrice Federica D’Ambra, e precedute dal brano “Catania figghiozza do Patri Eternu” scritto e cantato da Antonio Zappalà.

 

Il documentario narra le storie di due personaggi siciliani: Orazio di Grazia e Filippo Bentivegna.

Il ricordo di Orazio di Grazia, l’uomo conosciuto per aver viaggiato a bordo della sua bici arrugginita da Catania a Nicolosi fino all’età di 85 anni, resta vivido nella memoria dei catanesi. Si tratta di una persona schiva, ma di un gran lavoratore, che, fino alla sua scomparsa, si occupò del suo terreno che si trova, appunto, a Nicolosi.

Orazio divenne uomo molto presto. Già a otto anni iniziò a lavorare come venditore di latte e, proprio grazie a quei guadagni, riuscì a comprare, pezzo per pezzo, la bici a bordo della quale trascorse gran parte della sua esistenza. Non guidava la macchina; infatti, è considerato il primo cicloattivista a Catania, proprio perché viaggiava solo a bordo della sua bici.

Una vita che sembra la trama di un film d’epoca: prima in Jugoslavia per la guerra, poi a Bolzano per lavorare come finanziare. Orazio nella sua vita ne macinò di chilometri, ma non si sposò mai. Da giovane aveva conosciuto Graziella, la donna che gli rapì il cuore ma, sempre in quel periodo, dovette partire per il militare infrangendo per sempre i progetti d’amore con la sua donna che, durante l’assenza del nostro protagonista, fu promessa in sposa a un altro uomo.

È proprio sulle vicende dell’intensa vita di Orazio, che è stato girato un documentario di cui si è occupato il regista catanese Francesco Maricchiolo.

L’altro protagonista è, invece, Filippo Bentivegna, nato a Sciacca il 3 maggio del 1888. Era un uomo di umili origini: il padre era un pescatore, la madre casalinga. Nel 1913 emigrò negli Stati Uniti, sulle orme dei suoi due fratelli maggiori e di una sorella: in America, tuttavia, subì un grave trauma cranico a causa di una bastonata in testa, forse a opera di un rivale in amore, che lo tramortì per diversi giorni. A causa del colpo ebbe problemi di amnesia e non fu più in grado di lavorare. Considerato, dunque, improduttivo e dichiarato inabile al lavoro fu rimpatriato.

Tornato in Italia dopo la Grande Guerra, Bentivegna fu considerato disertore e condannato in contumacia a tre anni di carcere. Non appena rientrato allo scopo di eseguire la condanna, venne sottoposto a una visita psichiatrica. La commissione di visita non ebbe alcun dubbio nel considerarlo pazzo, ma non un pericolo sociale.

Nel suo feudo Bentivegna, grazie alle formazioni calcaree che riempivano il fondo, iniziò a scolpire centinaia di teste umane. Teste accatastate, affiancate e bifronti. Anche i suoi tre cani vennero tosati e dipinti sui fianchi con le teste.

Quando le pietre del suo feudo divennero scarse, “mastru Filippu” si costruì delle cave dove estrarre delle pietre più duttili creando anche dei cunicoli all’interno del suo fondo. Ma in paese Filippo Bentivegna era chiamato “Filippo delle teste” e “Filippo il pazzo”, deriso dai compaesani per il suo bizzarro atteggiamento, anche perché pretendeva d’essere chiamato Eccellenza, poiché pensava d’essere il re di un regno.

Morì all’età di 79 anni il 1º marzo del 1967. Il suo lavoro, per lungo tempo, rimase in abbandono. Molte opere, lasciate incustodite, furono distrutte, perdute o oggetto di sciacallaggio.

Il Castello incantato di Filippo Bentivegna, oggi fondo di proprietà della Regione Siciliana e gestito da una cooperativa culturale, è stato oggetto di studi critici come opera significativa del Novecento.