Dalla propaganda elettorale alle votazioni: così si è riorganizzata la famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù

Dalla propaganda elettorale alle votazioni: così si è riorganizzata la famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù

PALERMO – L’operazione Falco ha consentito di scoprire l’intero processo di riorganizzazione della famiglia di Santa Maria di Gesù che vede tra gli affiliati:

  • Giuseppe Greco (già condannato per associazione mafiosa, arrestato dai Ros con l’indagine Torre dei Diavoli perché reggente della famiglia);
  • Gaetano Messina (consigliere della famiglia), Natale Giuseppe Gambino (sottocapo);
  • Salvatore Profeta (di fatto consigliere del reggente);
  • Antonino Profeta;
  • Giuseppe Contorno;
  • Francesco Pedalino (capo decina);
  • Cosimo Vernengo, 53 anni;
  • Cosimo Vernengo 51 anni;
  • Salvatore Lo Iacono;
  • Salvatore Gregoli;
  • Girolamo Mondino.

Nello specifico, è stata scoperta una pratica tipica di quelli di Cosa Nostra, in passato descritta soltanto dai collaboratori di Giustizia, ovvero l’elezione dei rappresentanti mediante un sistema elettivo a cui hanno aderito tutti gli uomini d’onore della famiglia.

Attraverso lo stretto monitoraggio degli affiliati, a settembre del 2015, sono state documentate le fasi precedenti, concomitanti e successive ad una importante riunione che si è svolta il 10 settembre 2015 dentro a un ristorante palermitano, durante la quale sono state formalizzate le cariche interne della famiglia di Santa Maria di Gesù.

Erano presenti almeno 12 uomini d’onore e Giuseppe Greco venne confermato reggente mentre Natale Giuseppe Gambino e Gaetano Messina sono diventati rispettivamente sottocapo e consigliere.

Hanno ottenuto, invece, la carica di capodecina sia Francesco Pedalino, sia Mario Taormina.

Antonino Profeta, pur in assenza di un incarico formale, è stato presentato come rappresentante di Giuseppe Greco, mentre Salvatore Profeta ha scelto di non concorrere per alcun ruolo sia per l’età avanzata, sia per non sottrarre posti agli altri affiliati.

La documentazione delle fasi delle elezioni del reggente (definito “il principale”) rappresentano un dato assolutamente inedito nel panorama investigativo, poiché l’esistenza di tale pratica era emersa soltanto nelle dichiarazioni dei primi collaboratori di Giustizia degli anni ’80 (Tommaso Buscetta, Vincenzo Marsala, Salvatore Contorno e Francesco Marino Mannoia).

Le procedure di elezione, ad imitazione delle vere competizioni politiche, sarebbero tuttora basate su una preliminare attività di propaganda a favore dei candidati, anche se in realtà non vi sarebbe stato in quell’occasione un vero e proprio antagonista alla figura di Giuseppe Greco che, in funzione della carica di reggente già assunta, avrebbe ottenuto, da subito, il consenso degli affiliati più autorevoli, tra i quali lo stesso Salvatore Profeta, il quale si era offerto di appoggiare Giuseppe Greco probabilmente per la sua parentela con il collaboratore Vincenzo Scarantino, certamente ingombrante, e per via dell’età avanzata.

Dopo l’attività di propaganda è stata scoperta la vera e propria elezione. In sostanza, essa è avvenuta attraverso il voto di tutti gli affiliati che avrebbero aspresso la preferenza a scrutinio palese (“ad alzata di mano… per vedere l’amico”) anche se nel passato si ricorreva ad urne consegnate ai capodecina per la raccolta tra i “candidati”. La procedura elettiva avverrebbe oggi solo per le cariche di capofamiglia/reggente e consigliere, mentre le nomine per i ruoli di sottocapo e capodecina sarebbero riservate allo stesso principale in precedenza eletto.

Se la base dell’organizzazione elegge i vertici, il capofamiglia/reggentedesigna, a suo insindacabile giudizio, i propri collaboratori. Secondo questo principio, si inquadra l’assegnazione Antonino Profeta di un incarico fiduciario al di fuori delle funzioni tradizionali ed alle dirette dipendenze del “vertice” che l’avrebbe autorizzato a venire meno alle rigide regole della gerarchia mafiosa e l’obbligo di informazione dei quadri immediatamente superiori.

Il quadro investigativo si è arricchito di interessanti riferimenti al periodo precedente la seconda guerra di mafia quando le elezioni costituivano un mero fatto formale, essendo la carica di capofamiglia (e capomandamento) un ruolo di pertinenza esclusiva dello storico esponente Stefano Bontade detto il principe di Villagrazia e/o il Falco, poi ucciso il 23 aprile 1981.

Il ricordo della assoluta autorità di Bontate, benché vittima del tradimento dei suoi stessi collaboratori che poi si schierarono con i corleonesi, si è rivelata ancora forte a distanza di molti anni tra gli attuali indagati che hanno stigmatizzato come “il generale non ne ha vinto mai guerra senza soldati”, esaltando la forza della famiglia come entità (tutti siamo utili e nessuno è… indispensabile!) in grado di imporsi all’interno ed all’esterno (l’unica legge che conosci tu… è quella del più forte!).

Il riordino dell’organizzazione era divenuto necessario dopo l’eliminazione violenta nel settembre 2011 di Giuseppe Calascibetta, a seguito di contrasti nella cattiva gestione della cassa comune, con la contestuale carica protempore assunta da parte di Giuseppe Greco.

Le fasi di fibrillazione registrate in quel frangente avevano determinato la necessità di una formalizzazione dello status quo, al fine di legittimare i rapporti di forza interni alla famiglia.

In questa prospettiva era necessario rendere chiara l’autonomia della forza da parte del gruppo di vertice, al fine sia di congelare la posizione di supremazia annichilendo eventuali oppositori, sia di riaffermare il controllo sul territorio di influenza, punendo anche iniziative di soggetti legati alla medesima compagine mafiosa senza che fossero preventivamente autorizzate.

In merito sono stati documentati violenti atti intimidatori, sfociati in risse e in un omicidio.

In tal senso, è stato accertato il pieno coinvolgimento dell’associazione nell’omicidio di Salvatore Sciacchitano, ucciso il 3 ottobre 2015 perché “colpevole”di aver partecipato, solo poche ore prima ed in compagnia di Francesco Urso (figlio e nipote degli uomini d’onore Giuseppe Urso detto Franco e Cosimo Vernengo, entrambi arrestati oggi ), e al ferimento di Luigi Cona, uomo legato alla famiglia pur non essendone organico.